Hanno chiamato la figlia Facebook. Fan accaniti del social network di Marck Zuckerberg? Può darsi, ma il vero motivo per cui un egiziano ventenne ha deciso di chiamare così la figlia, è per il ruolo importante che Facebook ha avuto nella rivoluzione egiziana che ha posto fine al regime di Mubarak. La bambina si chiamerà Facebook Jamal Ibrahim e la notizia di questo curioso battesimo è stata riportata anche da uno dei quotidiani più letti d’Egitto, Al-Ahram.
E’ sintomatico che mentre i genitori dei ragazzi dell’opulento occidente tentino di proibire ai propri figli l’uso eccessivo o di usarlo del tutto, per quelli del nord Africa Facebook invece sia visto come una possibilità enorme di libertà. Noi ci preoccupiamo che messaggi e contenuti scabrosi arrivino ai nostri ragazzi, ci scandalizziamo di gruppi presenti su Facebook che inneggiano alla violenza o al razzismo. In Egitto invece Facebook è un bene prezioso da difendere. E’ stato proprio grazie a Facebook infatti che è stato possibile far passare le prime voci iniziali, radunare i primi manifestanti, portare poi in piazza Tahir decine di migliaia di persone. Per le strade del Cairo, non è difficile imbattersi in scritte murali che riportano: “Thank you Facebook”.
L’Egitto, uno dei paesi africani che nonostante tutto godono di un maggior sviluppo anche tecnologico, conta 5 milioni di utenti iscritti al social network, più di ogni altro paese africano o medio orientale. Non appena sono cominciate le manifestazioni, il numero di iscritti è aumentato vistosamente. A partire dal 25 gennaio sono nati 32mila nuovi gruppi e 14mila nuove pagine.
Non è stato solo Facebook a permettere ai rivoltosi egiziani di portare a termine vittoriosamente la loro battaglia. Anche Twitter, Youtube e perfino Google sono stati di fondamentale aiuto. Ma la scelta di questi genitori egiziani è ricaduta proprio su FB, simbolo di come i social network aiutano a lanciare messaggi di libertà. Talmente importante che non è un caso che i regimi dittatoriali di mezzo mondo tentino di censurare il social network appena possibile, come di fatto ha tentato di fare lo stesso governo egiziano.
L’11 febbraio, mentre la rivoluzione egiziana procede con l’occupazione della piazza simbolo, Tahir Square nel cuore del Cairo,, il sito peacelink.it riporta questo drammatico messaggio: “Confermiamo quanto è stato riferito stasera: in un’azione senza precedenti nella storia della Rete, il governo egiziano sembra aver ordinato ai provider di servizi Internet di disattivare tutte le connessioni internazionali. I fondamentali collegamenti in fibra ottica tra l’Europa e l’Asia attraverso l’Egitto sembrano non essere coinvolti finora. Ma in Egitto tutti i servizi, ogni tipo di attività, dalle banche ai siti Internet, ai bar, alle scuole, alle ambasciate ed agli uffici del governo che si basavano su uno dei quattro grandi provider per i loro collegamenti, sono ora tagliati fuori dal resto del mondo. Link Egypt, Vodafone/Raya, Telecom Egypt, Etisalat Misr e tutti i loro utenti e partner sono, per il momento, offline”.
E’ il disperato tentativo del regime di Mubarak di sconfiggere la rivoluzione pacifica che proprio grazie alla Rete è nata ed è riuscita a organizzarsi. Qualche ora dopo il sito riporta una aggiornamento: “Renesys ha rilevato la scomparsa virtuale e simultanea di tutti i collegamenti in rete dall’Egitto nel quadro dei collegamenti Internet mondiali. Circa 3500 singoli instradamenti BGP sono scomparsi, senza lasciare percorsi validi attraverso i quali il resto del mondo possa continuare a scambiare informazioni con i provider egiziani. Praticamente tutti gli indirizzi internet egiziani sono impossibili da raggiungere, da tutto il mondo”.
A differenza di quanto accaduto in Tunisia nella rivoluzione locale, dove erano stati bloccati solo alcuni collegamenti, o dell’Iran, dove la Rete non è stata chiusa ma rallentata volutamente per rendere le connessioni praticamente inutilizzabili, l’Egitto ha voluto oscurare del tutto il Web. Un fatto senza precedenti, ma che durerà poco. Il regime egiziano sarà costretto a riaprire via via la connessione. E’ l’inizio della vittoria dei rivoltosi. E adesso in Libia sta accadendo di nuovo la stessa cosa. Il traffico Internet è quasi del tutto fermo.
A dire della forza e dell’importanza della Rete e dei suoi social network, è il caso della Cina. Nel grande paese asiatico non si è ancora avuta nessuna rivolta del tipo di quella egiziana, ma proprio per prevenire qualunque tipo di imitazione, il governo cinese nei giorni delle manifestazioni egiziane, ha dovuto ricorrere allo stesso sistema del governo egiziano. Ha cioè fatto sì che chiunque cercasse la parola “Aiji”, che in cinese mandarino significa “Egitto”, ricevesse un messaggio di errore. Troppo forte la paura per il regime comunista il fatto di vedere migliaia di persone in piazza esattamente come successe in piazza Tienanmen potesse revocare negli utenti cinesi ricordi mai sopiti e l’insopprimibile desiderio di libertà.
Non solo. Ben presto il regime cinese ha oscurato tutti i commenti sui blog così come i social network. E’ accaduto a Sina.com, che offre un servizio simile a Twitter, ma anche a Sohu.com. Facebook? Non c’è stato bisogno di oscurarlo, visto che il social network è già censurato in Cina, così come Twitter. Il motivo? Ovvio: sono luoghi di libertà assoluta, da cui possono nascere le rivoluzioni. Qualcuno forse dovrebbe dare il prossimo premio Nobel per la pace a Internet.
Un esempio per tutti: un ragazzo cinese prima dell’oscuramento aveva fatto in tempo a postare questo messaggio su di un blog: “No agli Ak74, no ai machete; abbiamo bisogno di Twitter, abbiamo bisogno di Facebook”. Lo aveva postar Wo Shen riferendosi ad uno degli striscioni esposti a Il Cairo. Immediato il riscontro. Nel giro di una mezza giornata, il post è stato condiviso da 2.500 utenti e ha ricevuto quasi 400 commenti. Poi la censura.