Inizia oggi con l’Arabia Saudita il giro di visite che porterà Barack Obama, dopo il vertice di domani con gli Stati del Golfo, nel Regno Unito e in Germania. Un viaggio da cui Obama non può aspettarsi solo applausi, come scrive Michael Crowley su Politico, sia in Arabia Saudita che nelle due capitali europee. Il giornalista americano ricorda l’irritazione britannica seguita alla lunga intervista di Obama alla rivista The Atlantic, in cui venivano addossate a Cameron, insieme ad altre critiche, le maggiori responsabilità per la sciagurata avventura libica. Recentemente si è poi aggiunto il suo intervento in favore della permanenza dell’UK nell’Unione Europea, considerata un’indebita interferenza negli affari di un altro Stato, non solo dai sostenitori del Brexit.
Obama avrà qualche problema anche in Germania, dove l’opinione pubblica è rimasta scossa dalla rivelazione che i servizi segreti americani spiavano anche l’alleato tedesco e che perfino il telefono della Merkel era sotto controllo. Crowley cita i dati di un sondaggio condotto l’anno scorso dal Pew Research Center, in cui gli Stati Uniti venivano giudicati favorevolmente dal 50% dei tedeschi, con il 45% di parere negativo, risultato non proprio esaltante se comparato con i risultati sulla Cina, rispettivamente 44% e 49%.
Il dibattito sui media americani è però concentrato sui rapporti con l’Arabia Saudita, molto tesi dopo la presentazione al Congresso di una proposta di legge che permetterebbe alle famiglie delle vittime dell’11 settembre di citare in giudizio lo Stato arabo, cosa finora vietata.
La proposta è sostenuta da parlamentari di entrambi i partiti, cosa molto rara in questo periodo, e renderebbe possibile intentare processi a governi stranieri coinvolti in atti terroristici che abbiano provocato danni a cittadini statunitensi. La reazione saudita è stata immediata, con la minaccia di liberarsi di 750 miliardi di dollari di investimenti Usa, titoli di Stato e altro, nel caso la legge fosse varata.
Il sospetto di una qualche partecipazione saudita nell’attentato alle Torri Gemelle è sempre aleggiato negli Stati Uniti e lo stesso documento della commissione di indagine, nell’escludere a suo tempo il coinvolgimento dell’Arabia Saudita, aveva parlato solo di governo e funzionari di alto livello. L’attenzione è ora concentrata su 28 pagine di un rapporto del Congresso che sono secretate dal 2002 e di cui ora si chiede la divulgazione, perché si ritiene contengano informazioni sugli appoggi esterni ricevuti dai terroristi. Non necessariamente questi appoggi sono fuori dagli stessi Usa, né è certo siano attribuibili ai sauditi, che infatti ne hanno chiesto la pubblicazione, ma la questione sta provocando molto subbuglio e tocca anche le primarie presidenziali.
Obama finora si è detto contrario alla proposta di legge, non solo per le accese reazioni dei sauditi, ma per il timore di rappresaglie che possano portare altri Stati ad approvare leggi simili e quindi alla chiamata in giudizio del governo americano. Sono invece in favore della proposta di legge entrambi gli sfidanti democratici nelle primarie, Bernie Sanders e Hillary Clinton, e Sanders ha anche accusato i sauditi di sostenere una versione particolarmente estrema e distruttiva dell’islam.
Anche De Biasio, sindaco democratico di New York, si è schierato con le famiglie delle vittime per l’approvazione della legge. Del tutto chiara poi la posizione del repubblicano Donald Trump, secondo il quale senza l’appoggio americano l’Arabia Saudita avrebbe già cessato di esistere, sostenendo che gli Usa dovrebbero essere rimborsati dagli alleati per l’aiuto loro prestato. E aggiunge che gli Stati Uniti non hanno più bisogno del petrolio arabo e quindi non sono più ricattabili.
Queste diatribe rendono la visita di Obama a Riyad ancor più difficile, tenendo conto delle problematiche già sul tappeto. Stati Uniti e Arabia Saudita sono buoni alleati da diversi decenni, nonostante le caratteristiche autoritarie e illiberali del regime saudita contraddicano le pretese americane di essere alfiere della libertà in tutto il mondo. Diversi osservatori attribuiscono i primi screzi proprio al sostegno dato da Obama alle varie “primavere arabe”, ovviamente non particolarmente gradite a Riyad, irritata ulteriormente dai risultati non proprio positivi delle stesse.
Si sono poi aggiunti i dissidi sulle politiche verso la Siria e il Libano, ma il grosso inciampo nei rapporti è arrivato con l’accordo sul nucleare iraniano e la conseguente ripresa di attività dell’Iran sulla scena internazionale, a partire proprio da Siria, Libano e Iraq. I sauditi non sembrano avere alcuna intenzione di aderire al disegno di Obama di stabilizzare il Medio Oriente proprio attraverso un accordo tra Arabia Saudita e Iran, un disegno che non è probabilmente nelle corde neppure di Teheran.
Una rottura aperta è tuttavia improbabile, basti pensare all’importanza dei sauditi per l’industria americana, e non solo, degli armamenti, né sembra facile da attuare il suggerimento di Trump in tema di petrolio: qui la guerra è già in atto, ma dichiarata dall’Arabia agli Usa. Una crisi aperta tra i due Paesi in questo momento renderebbe ancora più caotica la situazione nella regione, ma Obama deve tener presente che l’opinione pubblica americana non sembra più disposta ad accettare acriticamente l’alleanza con i sauditi. Il grave problema è che lo Stato arabo è in piena transizione e gli Stati Uniti cambieranno presidente nel giro di qualche mese. Le premesse non sono buone, ma si può sempre sperare in un “canto del cigno” del presidente uscente, e sarebbe una positiva e inaspettata novità.