“Gli Stati Uniti hanno capito per la prima volta dopo Kissinger che devono tornare a occuparsi di Africa per contrastare l’espansionismo militare di Pechino nel Mar Cinese Meridionale e nell’Oceano Indiano. Una partita planetaria che Obama cerca di non perdere dopo i tragici errori commessi dagli Usa in Medio Oriente sostenendo le Primavere arabe”. Lo spiega Giulio Sapelli, professore di Storia economica all’Università degli Studi di Milano. Ieri Obama ha visitato il Kenya, dove ha partecipato a un summit sullo sviluppo imprenditoriale africano e ha avuto un colloquio con il presidente Kenyatta sulla sicurezza. Per Obama, “l’Africa è in movimento, corre: la povertà diminuisce, i redditi salgono e la classe media è in crescita”.
Da quali considerazioni nasce la visita di Obama in Africa?
La visita di Obama rivela che il ripiegamento degli Usa su se stessi non è così definitivo come affermano molti commentatori. E’ la presa d’atto del fatto che la politica Usa basata sul fatto di cercare volta a volta un sistema di alleanze locali cui affidare l’ordine e la sicurezza non si può portare a compimento in modo lineare. Questo viaggio in Africa documenta che gli Stati Uniti sono consapevoli del fatto che c’è bisogno di una loro presenza diretta in tutte le aree del mondo.
Perché è necessario che gli Stati Uniti siano ovunque?
Perché le potenze regionali alleate con gli Usa non possono garantire sicurezza, pace e interessi globali statunitensi. Il viaggio di Obama smentisce nei fatti la teoria in base a cui a un mondo unipolare potesse succederne uno multipolare. Come sempre è avvenuto nei periodi di pace, il mondo deve essere raccolto intorno a una sola leadership, cioè a quella americana. Non a caso abbiamo assistito al fallimento dei tentativi francesi di ridare peso all’Unione Africana, e degli stessi inglesi di arginare il potere della Repubblica Democratica del Congo attraverso Ruanda, Burundi e Kenya.
Sono solo Francia e Regno Unito ad avere fallito?
No. Obama constata anche gli effetti fallimentari del suo stesso discorso del 2009 all’Università Al-Azhar del Cairo, dove affermò che gli Usa si sarebbero occupati soltanto di portare la democrazia e la pace. E’ un discorso che scatenò le infauste primavere arabe, e che oggi rimane un grande errore strategico.
Obama ha ribadito ieri: “Gli Stati Uniti devono essere presenti per promuovere i valori in cui crediamo”. Rischia di ripetere lo stesso errore che commise al Cairo?
No, perché è l’intero orizzonte che sta cambiando, tanto è vero che gli Usa hanno ripreso l’intervento diretto contro l’Isis. Obama ha sconfessato se stesso, continua a usare lo stesso linguaggio, ma dietro c’è un ritorno a un impegno diretto in Africa. Non è un caso che in questi giorni Obama partecipi al Global Entrepreneurship Summit sullo sviluppo imprenditoriale africano, e che inoltre ci sia una ripresa degli investimenti americani in Africa.
Qual è la posta in gioco della sfida Usa-Cina in Africa?
La Cina si sta rivelando una potenza aggressiva che mira alla conquista dell’Africa. Beninteso non a una conquista territoriale, perché ai cinesi non importa nulla di crearsi un impero perché sono loro stessi già un impero. I cinesi vogliono conquistare materie prime ed energia da portare in Cina. E’ un fatto ancora più pericoloso, perché drena risorse. E’ quanto sta avvenendo nel Mar Cinese Meridionale ha convinto gli americani a tornare a occuparsi dell’Africa.
Che cosa c’entra con l’Africa quanto sta avvenendo nel Mar Cinese?
I cinesi stanno creando piattaforme per basi militari su tutti i territori contesi con Vietnam, Thailandia e Myanmar. Vogliono espandersi militarmente proprio per collegare la Cina all’Africa passando per l’India. La Cina può espandersi nel Mar Cinese e nell’Oceano Indiano solo se si impossessa delle risorse africane. E’ ciò che aveva capito Kissinger, ma che è stato dimenticato da chi è venuto dopo di lui: gli Usa devono essere presenti in Africa per opporsi a quanto sta facendo la Cina in Asia.
Perché Obama ha deciso di ripartire dall’Africa e non dal Medio Oriente?
Perché il Medio Oriente non esiste più. Gli Stati arabi si stanno disgregando: Siria e Iraq non esistono più, il Libano forse non è mai esistito e lo stesso Egitto è in crisi. E tutto ciò sta avvenendo proprio per gli errori della politica estera nordamericana. E’ anche per questo che gli Usa hanno avuto la necessità di stringere un accordo con l’Iran. Le conseguenze tragiche della caduta di Gheddafi documentano però quanto Medio Oriente e Africa siano legati tra loro.
In che senso?
Anche in Africa è in atto una crisi profonda di questi Stati usciti dall’era post-coloniale, e che è stata accelerata dalla caduta del Colonnello libico. L’unico Stato che resiste è la Repubblica Democratica del Congo, che è però figlia del grande capo marxista Joseph Kabila e quindi potrebbe fare una politica indipendente da Washington. Tutto ciò obbliga gli Usa a occuparsi dell’Africa, ben più del Medio Oriente dove stanno emergendo nuovamente Iran e Turchia quali unici elementi di stabilizzazione.
(Pietro Vernizzi)