L’accorato appello dei vescovi iracheni sul «futuro molto oscuro» dei cristiani nella loro terra non è rimasto senza esito: il Papa ha accolto la proposta, avanzata dal vescovo di Kirkuk, di un sinodo speciale sulla situazione dei cristiani in Medio Oriente. E parlando poi in occasione dell’udienza concessa al nuovo Patriarca della Chiesa d’Antiochia dei siriani, Ignace Youssif Younan, Benedetto XVI è tornato ancora sul tema, esprimendo il «desiderio» che «in Oriente, da dove è venuto l’annuncio del Vangelo, le comunità cristiane continuino a vivere e testimoniare la loro fede, come hanno fatto nel corso dei secoli».
In Iraq in particolare la situazione è veramente critica: come spiega monsignor Shlemon Warduni, vescovo ausiliario caldeo di Baghdad, in questi giorni a Roma per la visita “ad limina Apostolorum”, i cristiani iracheni sono totalmente isolati, e spesso sono costretti con la violenza ad abbandonare le proprie case; molti di loro fuggono in Siria o Giordania, dove però vivono comunque in pessime condizioni.
Monsignor Warduni, il vostro appello toglie il velo su una situazione di cui noi, in Occidente, non ci rendiamo conto: ci aiuti a capire qual è la condizione in cui vivono i cristiani nelle vostre terre.
La parola “esodo” è quella che meglio di tutte le altre può far capire ciò che sta accadendo ai cristiani in Medio Oriente, ed è il motivo per cui abbiamo deciso di chiedere aiuto in maniera forte. Quando alcuni cristiani, in qualche parte del mondo, vivono una situazione così difficile, deve levarsi la voce di tutti gli altri cristiani in loro difesa. Questo è il primo aiuto che vogliamo: che si dica una parola in difesa dei fratelli cristiani. A Mosul, pochi mesi fa, più di 2.500 famiglie sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni, cacciate con violenza da folle che urlavano e attaccavano manifesti contro di loro: noi chiediamo che la Chiesa, che le Conferenze episcopali di tutte le nazioni facciano sentire la loro voce contro episodi così gravi. Questo vale anche per la situazione a Gaza: chi ha parlato della situazioni in cui sono i cristiani, i sacerdoti, le suore in quella terra? Non ne ha parlato nessuno, come se i cristiani non fossero uomini.
Com’è la situazione in Iraq dal punto di vista del rispetto dei diritti? C’è una vera libertà di culto?
La libertà di culto c’è, e c’era anche prima: quello che invece noi vorremmo, e che manca, è una vera e propria libertà religiosa, per tutti. Un cristiano può diventare musulmano; un musulmano non può diventare cristiano, se non a rischio della propria vita. Allo stesso modo, un ragazzo minorenne, i cui genitori diventano musulmani, deve diventare anch’egli automaticamente musulmano. E tutto questo accade perché la fede musulmana è ritenuta la migliore, e l’unica a poter godere di certi diritti. Mentre noi chiediamo che vengano rispettati i diritti naturali, i diritti di ogni uomo, di cui noi non godiamo. Questo è il nostro problema.
Quali sono, secondo lei, le principali cause che hanno portato, nell’ultimo periodo, ad un aggravarsi della situazione dei cristiani?
Le cause sono tante, tutte note, e non è mio compito entrare nel dettaglio delle analisi politiche: ci sono difficili situazioni legate ai tragici fatti internazionali; c’è il gravissimo problema del fanatismo che dilaga; c’è l’azione terroristica di Al Qaeda; ci sono le guerre in Afghanistan e in Iraq; c’è la tensione fra Iran e America; c’è infine il conflitto israelo-palestinese. Sono tante cause diverse; quel che accomuna tutte queste situazioni è il fatto che i cristiani si trovino sempre nell’occhio del ciclone.
È giusto parlare di vera e propria persecuzione verso i cristiani?
Noi non vogliamo usare questa parola: anche se ci sono cristiani uccisi, anche se ci sono le tante famiglie cacciate di casa di cui ho parlato prima, comunque noi preferiamo non parlare di persecuzione. Il punto è che la causa dei cristiani iracheni è stata purtroppo molto politicizzata, perché sia arabi che curdi vogliono portare i cristiani dalla loro parte. Invece bisogna lasciare loro libertà di scelta, nonché la libertà di avere una propria rappresentanza politica autonoma, che però viene negata o ridotta al lumicino. C’era una legge che garantiva ai cristiani, nelle elezioni provinciali, tre seggi a Baghdad, tre a Mosul e tre a Bassora; ebbene, questa legge è stata demolita, e ai cristiani è stato lasciato un solo seggio in ciascuno dei tre territori. Noi abbiamo protestato, dicendo che era contro i nostri diritti; ci hanno risposto: “se a Mosul avete tre seggi, vi alleate con i curdi”. Quindi già siamo minoranza, e per di più la nostra causa viene politicizzata. Ci troviamo fra l’incudine e il martello.
Che cosa chiedete al nuovo presidente americano Barack Obama?
Quello che noi chiediamo è una cosa sola: la pace. Penso, e spero, che questo sia anche il suo auspicio. Così almeno ha detto, e noi benediciamo le sue parole. Noi vogliamo la pace, cioè il vivere con sicurezza, con tranquillità. Nient’altro.
Che cosa dite ai cristiani che abbandonano le vostre terre?
Noi abbiamo sempre detto con forza: non andate via, non emigrate. Ora non possiamo più dirlo con la stessa forza. Se diciamo a qualcuno di non andarsene, lui ci risponde: “lo faccio, se garantisci la mia vita, la mia famiglia e il mio lavoro”. E io cosa posso dire? Ecco perché chiediamo la pace e la sicurezza: se c’è questo, gli iracheni restano nelle loro case. Non dimentichiamo che l’Iraq è un Paese ricco, che in condizioni normali può benissimo dare sostentamento a tutti i suoi cittadini. Quelli che se ne vanno, poi, non vivono bene, ma in estreme difficoltà, anche per la grave situazione economica che sta investendo il mondo intero. Allora, ritornando ancora a Obama, quello che chiediamo è appunto pace e sicurezza. Ci va bene che le truppe che ora si trovano qui se ne vadano al più presto; ma se prima non ci aiutano ad avere pace e sicurezza sarebbe una cosa molto grave.
Cosa chiedete invece ai cristiani d’Occidente?
Chiediamo innanzitutto la preghiera. E poi di far conoscere al mondo che qui ci sono i loro fratelli che vengono maltrattati. Bisogna far sapere a tutti che qui ci vuole pace, diritti, equità; e far sapere che i cristiani sono pacifici, non vogliono far male a nessuno, e vogliono contribuire a costruire la nazione.
Un’ultima domanda sulla situazione in Terra Santa: è possibile che le parti trovino una soluzione duratura?
Se tutte e due le parti prendono veramente a cuore il loro popolo potranno arrivare alla concordia. E nessuno di loro deve nuocere all’altra parte: né lanciare missili contro Israele, né fare gli attacchi devastanti che abbiamo visto. Tutti e due sono parti in causa di questo conflitto: quindi tutti e due devono fare un passo l’uno verso l’altro. La guerra non risolve nulla, distrugge tutti, complica le difficoltà. E soprattutto la guerra è contro Dio, perché Dio è amore.