Morales sacrifica la libertà sulle rovine degli indigeni Aymaras. “Indigeno” è la parola quasi ossessiva che appare in qualsiasi conversazione a La Paz, la capitale della Bolivia. Tanto nella zona alta, la città a 4.000 metri cresciuta con insediamenti privi di acqua corrente e luce elettrica abitati da persone che hanno lasciato i villaggi dell’altopiano in cerca di una vita migliore, quanto nella parte più bassa di La Paz, in cui risiedono le famiglie più ricche.
La parola “indigeno” è frequente come i “the alla coca”, infusioni necessarie per superare i fastidi e i mali d’altitudine. La “questione indigena” ricompare sempre nelle conversazioni con giornalisti, religiosi e politici. Per lo straniero è molto difficile, al di là dei discorsi ideologici, distinguere chi è “indigeno”. A parte alcuni visi dei villaggi del Lago Titicaca, direi che sono tutti un incrocio di etnie.
Le statistiche parlano di un 20% di indigeni nel Paese. Ma la parola “indigeno” si perde in una nebbia quasi mitica, come quella che circonda la storia delle rovine della città di Tiahuanaco, lascito della cultura aymara, su cui si sono costruite molte speculazioni. Già nel XV secolo il suo splendore era svanito. Ed è stato il crudele impero Inca, con Pachacutec a mettere a ferro e fuoco ciò che restava degli aymara. Gli spagnoli che hanno costruito la chiesa di San Francesco a La Paz, in un delizioso barocco, non ebbero nulla a che fare con la fine della cultura aymara.
Evo Morales ha celebrato tra le rovine di Tiahuanaco l’inizio del nuovo anno con una liturgia forzatamente inventata. In nome di questo “indigenismo” impreciso e ideologico, alimentato da non pochi frati e suore che volevano “acculturarsi”, Evo Morales da anni si è messo in moto per dare avvio alla sua rivoluzione.
In nome della parola “indigeno” ha portato avanti una riforma costituzionale che divide il paese (le cinque province dell’Ovest l’hanno respinta) e che mina le fondamenta dello Stato di diritto, così come è stato inteso sulle due sponde dell’Atlantico dall’Illuminismo.
Il nuovo testo, all’articolo 4, afferma che lo Stato è indipendente dalla religione. Ma all’articolo 98 crea una sorta di Stato confessionale indigeno, quando afferma che «lo Stato assumerà come propria forza l’esistenza di culture indigene, depositarie di spiritualità e visione del mondo».
Questa nuova confessione distrugge l’uguaglianza di fronte alla legge perché crea i cosiddetti “diritti preferenziali”. L’articolo 13 permetterebbe la subordinazione dei diritti fondamentali a quelli collettivi. La modernità giuridica viene fatta fuori: l’articolo 123 contempla l’applicazione retroattiva di sanzioni penali per alcuni delitti come il tradimento verso la patria. E la libertà di stampa viene ridotta al nulla, perché all’articolo 107 viene sottomessa alla veridicità e alla responsabilità.
Non sappiamo se nella città di Tiahuanaco una volta si celebrassero sacrifici aymara di qualche tipo. Probabilmente sì. Quel che è chiaro è che Tiahuanaco è stata il pretesto per sacrificare la libertà del popolo della Bolivia.