Se la seconda parte dello scorso secolo ha visto accendersi, e quindi smorzarsi, le paure per lo scoppio della “bomba demografica” legata alla crescita della popolazione mondiale, con l’avvio del nuovo millennio l’attenzione si è spostata su un nuovo pericolo incombente: l’esplosione della mobilità internazionale. Detto in altri termini: la prospettiva di una fuga di massa dal “Sud del mondo” non tanto, e non solo, per sopravvivere a guerre, persecuzioni e calamità naturali di varia natura, quanto più semplicemente per riuscire a conquistare una vita dignitosa e poter costruire un futuro, per sé e per i propri cari. E’ la “bomba demografica” del XXI secolo. Un fenomeno di cui, attraverso la cronaca quotidiana degli sbarchi, stiamo percependo solo la componente più evidente e problematica. Assistiamo a una realtà che vive costantemente sul filo dell’emergenza, senza forse renderci pienamente conto che abbiamo di fronte solo la punta emersa di un iceberg con cui saremo inevitabilmente costretti a imbatterci.
Le ultime statistiche delle Nazioni Unite (UN Popfacts 2015/4) mettono in luce come negli ultimi quindici anni i migranti a livello planetario si siano accresciuti del 41%, ossia a una velocità che è doppia rispetto al ritmo di aumento della popolazione mondiale. La stessa fonte documenta e avverte che i paesi più poveri – per lo più localizzati nell’Africa Sub-sahariana – potrebbero non solo non allentare la pressione migratoria di natura “economica” sul fronte europeo, ma persino accrescerla nei prossimi decenni. La loro dinamica demografica produrrà 400 milioni di abitanti in più tra oggi e il 2036, di cui 166 milioni saranno giovani adulti 20-44enni.
Ciò significa che, da subito, nel profondo Sud del Mondo si rende necessario creare mediamente almeno 8-9 milioni di posti di lavoro in più ogni anno unicamente per assorbire l’offerta aggiuntiva derivante dalla crescita demografica della popolazione più giovane in età attiva. E un insuccesso in tal senso non potrà che produrre nuovi candidati a un’emigrazione dettata dal bisogno di sopravvivere.
Non è dunque il dramma di un paese come la Siria – pur meritevole della massima attenzione e di un incondizionato impegno – a destare preoccupazione e a sollecitare un ampio coinvolgimento del Mondo più sviluppato, Europa in testa, in tema di migrazioni. E’ il destino della popolazione di un intero continente che viene messo in gioco! Una dimensione che non può che imporre attenzione su scala planetaria. Pertanto, così come negli anni 70 fu concepito il “Piano Mondiale d’Azione” (Conferenza di Bucarest 1974) al fine di contrastare – in ultima analisi con successo – la bomba demografica di allora, un altro specifico “Piano d’azione” va oggi messo in campo con l’obiettivo di disinnescare questo nuovo ordigno. D’altra parte sappiamo bene come la medicina per governare i flussi di mobilità dall’Africa sia inscindibilmente connessa sia al miglioramento delle condizioni economiche e di vita che gravano sui popoli del Sud del Mondo, sia al contenimento degli squilibri che, amplificati dalle antenne della globalizzazione, incentivano la fuga dalla misera verso un mondo luccicante.
Ben vengano dunque i “For Africa bond” o quanto altro possa valere a supporto di un piano per lo sviluppo del continente africano. Ben vengano altresì tutte quelle iniziative che introducono regole capaci di trasformare l’emigrazione da drammatico abbandono definitivo della propria terra a esperienza (temporanea) in grado di restituire ai paesi d’origine risorse umane arricchite e pronte a fare sviluppo. Oggi la sensibilità sul tema migratorio è ai massimi livelli per fatti di cronaca che preferiremmo non leggere. Cogliamo dunque l’occasione per fare in modo che si costruisca un unanime consenso attorno all’idea che il Piano d’azione per questa nuova bomba demografica rappresenta non solo una necessità emergenziale o un dovere etico: è, quand’anche non gratuita, una scelta “intelligente”, da richiedere a statisti lungimiranti.