Il presente come storia, così non inseguiamo le cronache del nostro tempo, alla ricerca di chiavi di lettura risolutive. La “post-truth” era nelle cose da tempo: tutto è interpretazione, l’aveva già affermato Nietzsche. Ecco perché seguire il vecchio brontosauro marxista Paul Sweezy può ancora giovarci: il presente come storia. I fatti sono come i problemi secondo lo psicanalista americano James Hillman: emblemi. Il presente come storia significa trovare un epicentro della disgregazione, senza ridere, né piangere, ma comprendendo: di che si tratta?
Dopo il 2011, ossia dopo la tornata gigantesca e paradossale della cosiddetta “primavera araba”, l’intero asse del Mediterraneo, a noi prossimo come carne della nostra carne, si è sfaldato, e l’assassinio plebeo di Gheddafi ha sancito la fine di un mondo. Il 2016 ha ricomposto i pezzi di questa polveriera a cielo aperto: Obama, già dal 2009, col famoso e specioso discorso al Cairo, aveva posto le premesse del “post” Europa mediterranea. Noi siamo sprofondati in questo gorgo abissale. L’Obama sfrattato dalla Casa Bianca si appoggia su Cuba e piange sul Giappone della Seconda guerra mondiale.
Intanto la Siria stava pagando il prezzo della verità mancata, dopo il primo colpo a un Iraq in ginocchio e in mano al jidahismo “post”-tutto dell’Isis. Perfino Al-Qaeda ha preso le distanze: non ci sono più i terroristi di una volta. Ammazzare donne e bambini inermi, decapitarli e metterli sulla scena non rompe soltanto un tabù ancestrale, ma riecheggia il nullismo di chi non combatte questa barbarie con l’arsenale della verità e della forza contro l’aggressore. Ma…ecco il punto: ciò non può essere fatto, sia chiaro, dicono alla Casa Bianca, perché l’Isis è un’invenzione a stelle e strisce, di fatto. Carter aveva fatto a suo modo un disastro analogo con l’Afghanistan messa in mano ai talebani in funzione anti-Urss.
Putin è figlio di quella vittoria dell’Urss imperiale, ancorché già boccheggiante, a meno di un decennio dal disastro di Chernobyl: l’Occidente è stato salvato dai comunisti russi, in quell’occasione. E oggi lo sta salvando l’ancora comunista postmoderno e religioso Putin. Ecco perché è l’unico leader del mondo global rimasto in piedi: il ‘900 si è pulito le scarpe di fronte alla soglia della sua abitazione e d’un tratto, nel nulla descritto da Tremonti un decennio fa, vince chi vede il diavolo ritto in piedi e lo abbatte. Tutto qua. È tutto residuale oggi, vince chi rimane in piedi, anche per mancanza di vigore dell’avversario: il ‘900 è davvero finito.
Nella teoria dei giochi qualcuno deve sempre vincere. Ma il gioco a somma zero è sempre dietro l’angolo. Accade semplicemente ciò che deve accadere, come prevede il principio di Dilbert. La possibilità spesso è inseparabile dalla necessità. Coscienza della necessità è imperativo categorico della mente storica, dunque. Esempio concreto: Obama e la Merkel si sono fatti male con il Ttip, il trattato commerciale Usa-Ue. Elementare, Watson! È finito l’asse atlantico, come puoi regolare i rapporti commerciali tra due assi perdenti? La Germania fa cassa con la crisi dell’Europa mediterranea e strangola la Grecia, insieme alla Francia, sull’acquisto delle armi, l’export è dettato dall’arretratezza economica, almeno parziale, dell’area mediterranea, sotto schiaffo con la crisi permanente dei migranti, alleati oggettivi della Merkel. La Germania oggi paga a caro prezzo la presenza del terrorismo dei “lupi solitari”, nel mare magnum del suo nullismo strategico. Figlio della crisi dei fondamenti religiosi del luteranesimo, del comunismo ex-Ddr elevato ad assetto sistemico, con la Merkel, e della deriva storica dell’Ue.
Se tiriamo le fila dell’ultima settimana prima della fine di questo pesante 2016, vediamo che ciò che appare distante e a prima vista non collegabile è di contro del tutto correlato: i fatti di Berlino, gli assalti terroristici a più riprese nel cuore di Parigi, con il primo martire cattolico in terra europea, perfino il terremoto nella lunga coda dell’estate, nella nostra Italia Centrale, Amatrice, Norcia, le Marche, tutto indica che l’effetto Butterfly, secondo il quale ciò che accade qui e ora, a distanza, segna il destino di tutti, è corroborato fin nei dettagli.
Il 2016 fa emergere l’epicentro della crisi finale dell’Ue, ecco il dato incontrovertibile: anche Trump alla Casa Bianca lo spieghi così. Per la prima volta nella storia moderna e postmoderna dell’ex Impero Occidentale, un candidato tycoon, ricco e spavaldo, mette a soqquadro l’establishment e ammazza la tradizione delle élites corporative di Washington. Populismo? Bene, tocchiamo anche questo momento del presente come storia.
Il “populismo” è la bestia nera dei perdenti, tutto qua. Un marxista di buona scuola come Carlo Formenti scrive che il populismo è in realtà la fase matura della nuova lotta di classe postmoderna, oggi contro l’establishment, tutto qua. La Clinton somiglia a una vittoriana ricca e tracotante, non certamente al nuovo mondo degli individui che ce la fanno, a dispetto dei finti sondaggi e delle ancora resistenti casematte.
L’asse asiatico, il Far East, quello che guarda al Pacifico, è in corsa per afferrare i nuclei residuali di un sistema mondiale asfittico e senza più respiro. L’esempio più eclatante è il presidente delle Filippine Rodrigo Duterte. Personaggio controverso se mai ve ne furono, eppure, nella sua quasi animalesca vitalità, sta costruendo alleanze che guardano agli orizzonti dominanti prossimi venturi, Russia e Cina. Inoltre, sta riconsegnando un ruolo al governo centrale, come l’ultimo documento da lui voluto e infine siglato, e nel quadro di un ripristino di un sana operazione di due diligence, per la quale qualunque amministrazione periferica voglia spendere soldi deve passare per l’autorizzazione del governo di Manila. Un colpo ai corrotti dell’establishment locale, anche stavolta.
Il trend mondiale dei Paesi che non ci stanno a fare la ruota di scorta dei perdenti è questo: no al vecchio ancien regime in vista di un nuovo ordine da costruire attraverso nuove alleanze. Le alleanze fra i “populisti”, dunque, funzionano, le altre sono diventate materia di studio della London School of Economics e della Bocconi.
D’altra parte, che il trend fosse tutt’altro rispetto all’agenda e ai calendari di questi vecchi parrucconi, era già chiaro e limpido, molti anni fa. È il Karaoke capitalism, senza alcun accento dispregiativo. È il mondo degli uomini e delle donne che non ci stanno e mettono in piedi business, contattano altra gente, fanno audience sui loro interessi e sulle loro passioni. Il mondo che vede in Trump il male minore o il corifeo di ciò che c’è rispetto alla Clinton, che danza il sabba nella sabbia del presente.
Il già e il non ancora, dunque. Un “interregno”, avrebbe detto Gramsci. E ora, nel 2017? Si cucinerà il piatto che è già sulla tavola, la migliore delle previsioni è fatta sulla correlazione dei dati già presenti davanti a noi, non si inventa nulla: il socialismo francese è finito tra scandali di borghesi piccoli piccoli, il populismo è l’unica variante della ripresa del Politico e del Sociale, insieme, quindi avremo una Francia con la famiglia Le Pen sulla cresta dell’onda, che vinca o meno Marine.
L’Europa ha gli anni contati, e sono realista, perché so che il disfacimento dei processi storici richiede tempo per allungare l’ombra del nuovo ordine. Perché non ho detto ancora una parola sul Brexit? Perché è l’ evento-summa del crac organico a questo sistema: la bilancia commerciale del Regno Unito va bene, l’Europa ha chiuso. Gli inglesi non sono europei continentali, altrimenti Burke non avrebbe svillaneggiato la Rivoluzione francese. La Siria è stata l’epicentro del rimbalzo finale sull’Europa, ora che Aleppo è sia libera che violentata, insieme alle vere vittime di questa ecatombe a dominante Usa. Putin vince ancora.
In conclusione, lo scacchiere europeo: in Romania, abbiamo avuto il rifiuto della socialdemocratica islamica, Sevil Shhaideh, rea di avere un marito ex alto funzionario del governo siriano. L’Italia è sempre più sola di fronte agli sbarchi dei migranti, fra i quali pericolosi personaggi e ben pochi fuggitivi dagli scenari di guerra. Della Francia, abbiamo detto. Il socialismo francese burocratico muore tra le banche in rotta e i popoli in fuga. Geert Wilders, in Olanda, è in testa nei sondaggi. Il 15 marzo del nuovo anno vedremo ancora il tracollo dell’Ue e dell’establishment. Infine, a settembre, toccherà alla Germania. Confermata la Merkel? Anche se fosse, ciò non sposterebbe niente. È solo una questione di tempo.
Il Presidente Mattarella parlerà di terremoto, crisi economica, povertà in aumento, agenda già fatta. La nostra connazionale morta in terra tedesca. Il presente come storia racconta che i giochi sono fatti. Dopo il tonfo, noi rimarremo ancora in piedi. Buon 2017 a tutti.