È il presidente del Consiglio nazionale di transizione Mustafa Abdel Jalil, già ministro della giustizia sotto il colonnello Gheddafi, a lanciare l’avvertimento: “Essendo la Libia una nazione musulmana la sharia è per noi fonte del diritto, ogni norma che contraddica i principi dell’Islam non avrà più valore”. Lo ha fatto domenica durante le grandi celebrazioni per la liberazione della Libia a Bengasi. Lo ha fatto in modo, si potrebbe dire, “islamicamente corretto”: inginocchiandosi e pronunciando un versetto del Corano. La sharia dunque all’orizzonte della nuova Libia, anche perché, a quanto pare, sarebbe già prevista nel progetto di nuova Costituzione presentato a luglio a Washington in modo subdolo e astuto: una cattiva traduzione dal libico all’inglese non avrebbe permesso a nessuno di accorgersi di questo.
Secondo il professor Camille Eid, giornalista e docente di lingua araba nell’Università Cattolica di Milano, «il problema vero non è il desiderio di introdurre la sharia, ma il modo e la velocità con cui questo provvedimento viene presentato». Spiega infatti Eid che ogni Paese a maggioranza islamica non può fare a meno di usare la sharia come base giuridica del proprio ordinamento, è un fatto normale e di consuetudine. «Il problema», aggiunge Eid, «è la velocità con cui viene presentato questo progetto. Si era parlato di mesi di lavoro per preparare una nuova Costituzione, come hanno fatto ad esempio in Tunisia, e questa fretta di annunciare l’introduzione della legge islamica non sembra una cosa positiva».
Professore, se la sharia è alla base degli ordinamenti degli stati islamici, non dobbiamo allora preoccuparci che la Libia del post Gheddafi la voglia introdurre?
Essendo di fatto la Libia un Paese a maggioranza assoluta islamica, con una punta del 99%, non è possibile immaginarsi una Libia senza sharia. Esistono solo due casi al mondo di nazioni a maggioranza islamica dove essa non è stata introdotta: la Turchia, che però compensa questa “anomalia” con un partito islamico al potere, e l’Indonesia, che riconosce ben cinque religioni ufficiali compresa quella islamica. C’è poi il caso particolare della Nigeria, che essendo uno Stato federale ha visto l’introduzione della sharia in soli dodici Stati su trentasei, quelli a maggioranza islamica. Il resto del Paese è infatti a maggioranza cristiana.
Cosa ne pensa di questa fretta di introdurre la sharia nella Costituzione della Libia?
È una fretta che stupisce, che fa pensare. E vero che alcune componenti del Cnt così come alcune delle milizie rivoluzionarie si ispirano in qualche modo all’Islam. Dunque non è pensabile che i principi dell’Islam possano essere esclusi dalla futura Costituzione. Tuttavia, in Tunisia si sono fatte le cose con più calma: c’è stato un processo di elaborazione della nuova Costituzione, così come in Egitto. È stata fatta una costituente, gli esperti hanno studiato le diverse materie e poi hanno fatto proposte sottoposte a un referendum. Jalil, che è pure il presidente del Cnt in Libia, invece, in qualche modo ha già espresso l’esito di un possibile futuro referendum. È vero che ha fatto il ministro della Giustizia e ha dimestichezza con queste cose, ma ci si sarebbe aspettati un pronunciamento di questo tipo dopo mesi di lavoro per preparare il nuovo assetto giuridico libico.
Secondo diverse fonti, nelle ultime due decadi la Libia si era comunque riavvicinata a un certo fondamentalismo islamico, con la proibizione di vendere alcolici a Bengasi e a Tripoli o il velo per le donne.
Gheddafi, a seconda del periodo contingente, ha strumentalizzato l’Islam. Ne ha fatto a volte uso estremo, ad esempio nella bandiera verde, colore per eccellenza dell’Islam, ma le sue teorie di fatto non erano molto islamiche. Quello che cercava Gheddafi era di fare il “missionario islamico”. L’ha fatto a Roma più volte, oltretutto davanti a un pubblico femminile, e lo ha fatto davanti ai capi di Stato africani, cercando di convincerli a convertirsi all’Islam.
Ne faceva un uso strumentale al suo potere?
Sì. Basti pensare alle donne amazzoni della sua guardia privata, che certamente non rispondono a un precetto islamico. Il suo era un misto di socialismo riconvertito in misure islamiche a seconda del periodo e a seconda dei suoi rapporti con il mondo occidentale, ma si capiva che era una strumentalizzazione, come lo è stata l’introduzione di un calendario islamico completamente diverso da quello in vigore negli altri paesi islamici, dove non riconosce l’inizio dell’anno con la data della migrazione di Maometto. Il suo era uno Stato che non si poteva chiamare né islamico, né laico, ma solo pieno di “stravaganze gheddafiane”.
Che futuro dobbiamo attenderci per la Libia?
La nuova Libia desta preoccupazione, dato che ci sono forti componenti islamiche. Il capo delle milizie che controllano Tripoli, ad esempio, è un ex jadista dei gruppi combattenti libici. Per breve tempo è stato collegato con Bin Laden, ha mandato emissari in Algeria a prendere contatti con la locale sezione di Al Qaeda, solo che questi emissari sono stati eliminati in modo misterioso, probabilmente perché avevano scoperto che non avevano carte in regola con quanto richiede Al Qaeda.
Ci sono segnali che fanno pensare che la sharia libica potrà essere di tipo intransigente: Jalil ha già detto, ad esempio, che reintrodurrà la poligamia.
Stiamo a vedere cosa sarà messo nella Costituzione punto per punto. Sono tre i passaggi su cui vigilare: diritto penale, diritti delle donne e rispetto delle minoranze religiose.
Ci spieghi meglio.
Il fatto che Jalil voglia reintrodurre la poligamia è un aspetto preoccupante. Nella stessa Tunisia già ai tempi di Bourguiba era stata abolita. La condizione della donna è il primo elemento che contempla la sharia e la poligamia è un deciso passo indietro per le donne stesse. Poi bisogna vedere come sarà regolato il rapporto con i pur pochi cristiani presenti oggi in Libia, e infine l’ordinamento penale. Ad esempio, in Arabia Saudita è contemplata la pena di morte per decapitazione dopo il venerdì di preghiera: sarà così anche in Libia?