“I compiti che attendono Obama in Medio Oriente sono tutt’altro che semplici, ma la sua amministrazione è nelle condizioni migliori per affrontarli. Lo ha dimostrato negli ultimi quattro anni imponendo sanzioni contro l’Iran che non hanno precedenti nella storia. L’abilità politica di Obama è emersa inoltre dalla sua capacità di riscuotere un consenso in Europa e nella comunità internazionale, che è molto più ampio di quello del suo predecessore George W. Bush”. Visti da Israele, i risultati delle elezioni Usa non offrono alcun motivo per rimpiangere un ritorno dei Repubblicani alla Casa Bianca. Almeno stando alle parole di Michael Herzog, cittadino israeliano, international fellow del Washington Institute for Near East Policy, oltre che autore di tanto in tanto di commenti per il quotidiano Haaretz.
Herzog, la rielezione di Obama è una buona notizia per Israele?
Dipende da quello che Obama farà in Medio Oriente nei prossimi mesi. Dovremo giudicarlo sulla base della sue politiche per quanto riguarda i principali problemi nella regione. Sono quattro le aree più importanti sulle quali il presidente Usa sarà giudicato da un punto di vista israeliano: l’Iran, la Siria, la questione israeliano-palestinese e l’Egitto. Partiamo dall’Iran.
Che cosa si aspetta Israele dal presidente Obama?
Il principale interrogativo è se il presidente Usa sarà in grado di padroneggiare la pressione per convincere l’Iran a cambiare o cessare il suo programma nucleare. Il 2013 sarà l’anno decisivo, quello che segnerà una vittoria o un fallimento della diplomazia. Quello che ci si chiede in Israele è che cosa farà Obama se la diplomazia dovesse fallire. Sarà questo il compito più difficile per la Casa Bianca.
Anche quello siriano è un dossier altrettanto scottante …
In Siria è in corso una guerra civile, con un ruolo molto attivo giocato da Iran e Russia a sostegno di Bashar Assad. Gli Usa e l’Occidente al contrario finora hanno giocato un ruolo passivo. Ora che le elezioni americane sono alle spalle, è arrivato il momento in cui gli Usa dovranno prendere l’iniziativa in Siria, o ci sarà una guerra sanguinosa per anni che costerà la vita a decine di migliaia di persone. Non sto difendendo la necessità di un intervento armato, ma di un sostegno più massiccio per i ribelli che risultano essere degni dell’aiuto dell’Occidente. E non mi riferisco ovviamente ai jihadisti, ma agli elementi dalla mentalità più aperta. L’aiuto deve includere anche l’invio di armi.
Che cosa può fare Obama per favorire la pace tra israeliani e palestinesi?
Nel suo primo mandato Obama è fallito nel suo tentativo di generare un processo di pace percorribile per entrambe le parti. Ovviamente la responsabilità principale di questo fallimento è di palestinesi e israeliani. Ma le modalità in cui Washington potrebbe influenzare entrambi sono molteplici e molto vaste. Vedremo ora cosa riuscirà a fare nei prossimi quattro anni, e soprattutto se sarà in grado di fermare il deterioramento nei rapporti tra le due parti in causa.
Come è visto da Israele l’atteggiamento di Obama nei confronti dei Fratelli musulmani egiziani?
La situazione all’ombra delle Piramidi è molto rischiosa, e la domanda che ci si fa in Israele è in che modo gli Usa gestiranno la loro relazione con l’Egitto e con i partiti islamisti in generale. La mia convinzione è che Obama debba cercare di condurre un “dialogo critico” con il governo egiziano, facendo capire a Morsi che le relazioni e il sostegno Usa non sono automatici, ma sono condizionati all’applicazione della democrazia, al rispetto dei diritti umani e al mantenimento degli accordi di pace con Israele.
Ritiene che la politica di Obama nei confronti del Medio Oriente sia stata migliore o peggiore rispetto a quella del suo predecessore George W. Bush?
L’amministrazione Obama è preparata ad affrontare ciascuno dei problemi che ho elencato. E il motivo principale è che ha un sostegno più ampio da parte dell’Europa e della comunità internazionale. Per quanto riguarda l’Iran inoltre Obama ha deciso delle sanzioni senza precedenti. E’ vero che queste sanzioni non hanno ancora prodotto gli effetti sperati, ma ritengo che il presidente Usa debba continuare su questa strada e tenersi aperte tutte le possibilità.
Che cosa può fare Obama per bloccare i finanziamenti stranieri ad Hamas?
Di recente i finanziamenti iraniani ad Hamas si sono interrotti, in quanto il partito palestinese non ha potuto sostenere la posizione di Teheran in Siria né tantomeno difendere Bashar Assad, che ha contro di sé tutti i principali poteri sunniti. Oggi i principali finanziatori di Hamas sono Qatar e Turchia. L’emiro del Qatar, Sheikh Hamad bin Khalifa Al Thani, è stato il primo sovrano straniero a visitare Gaza da quando quest’ultima è governata da Hamas. E di recente ha promesso ad Hamas finanziamenti da 400 milioni di dollari.
E la Turchia?
La Turchia a sua volta ha promesso 300 milioni di dollari, e il primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan sta prendendo in considerazione una visita a Gaza. Obama potrebbe non essere in grado di fermare questo duplice sostegno incassato da Hamas, anche se ovviamente non gli fa piacere.
Quali sono quindi gli strumenti di cui dispone la Casa Bianca?
Può utilizzare la sua influenza per fare sì che Hamas consolidi il cessate il fuoco, nel momento in cui tutti i gruppi jihadisti stanno costantemente lanciando razzi contro Israele. Washington dovrebbe inoltre cercare di influenzare tutti i poteri sunniti affinché non sostengano l’espansione di Hamas nei territori controllati dall’Autorità Palestinese. Quest’ultima in Cisgiordania sta affrontando delle gravi difficoltà economiche, ed è sull’orlo del collasso.
(Pietro Vernizzi)