Dopo l’Arabia Saudita, anche Bahrein e Sudan hanno rotto le relazioni diplomatiche con l’Iran. Si va verso una escalation dello scontro tra sunniti e sciiti? E se sì, che tipo di scontro? Per Massimo Campanini, docente e uno dei massimi storici del mondo arabo, quello in atto è uno scontro puramente politico che usa la maschera della religione per motivi di egemonia regionale e controllo delle zone di produzione petrolifera. “Non è mai esistito un contrasto vero e proprio tra Arabia sunnita e Persia sciita fino a quando è crollato il regime dello scià e si è imposto quello khomeinista” ha spiegato a ilsussidiario.net. Un contrasto, quello dopo l’esecuzione dell’imam sciita al Nimr, che non è destinato a inasprimenti e tanto meno portare a una guerra: “Non converrebbe a nessuno dei due paesi. Ad avere un vantaggio sarebbe solo l’Isis che è sunnita e allo stesso tempo in grado di spazzare via il regno saudita”.
Si può dire che dietro a quanto fatto dall’Arabia Saudita ci sia una sorta di messaggio inviato a Washington, dopo i recenti accordi con Tehran sul nucleare?
E’ un’ipotesi ragionevole. Le aperture nell’ultima fase della presidenza Obama nei confronti dell’Iran possono aver preoccupato la dirigenza saudita.
L’Arabia storica alleata americana, potrebbe essersi sentita tradita.
Senz’altro c’è questo elemento, ma io ne aggiungerei altri più significativi.
Ci dica.
Va per prima cosa ricordato che la rivalità fra questi due Paesi nasce in maniera acuta solo dopo la rivoluzione khomeinista. Fino a quando c’era lo scià Reza Pahalavi, a cui dell’islam non interessava nulla e tantomeno di essere sciita, questo contrasto non esisteva. Poteva esserci un contrasto politico ma certamente non per motivi religiosi.
Poi cosa è successo?
Con la nascita del regime khomeinista si è acutizzato un contrasto di fondo per l’egemonia regionale sul Golfo, che è la petroliera del mondo, e quindi per il controllo delle zone petrolifere. Questo contrasto si è ammantato di maschere religiose ed è aumentato ancora dopo la caduta di Saddam Hussein.
Perché?
Lo smembramento dell’Iraq dopo la vittoria americana ha fatto emergere in superficie gli sciiti che fino a quel momento erano stati repressi dal potere tribale di Saddam e che ovviamente si sono appoggiati all’Iran. Il carattere sciita dunque si è rafforzato diventando un contraltare per l’Arabia Saudita.
Tornando alla prima domanda, si può allora dire che le aperture di Obama hanno inasprito questo conflitto?
Sicuramente prima di questi accordi con Teheran l’Arabia si sentiva più sicura nel suo ruolo egemonico, ma ci sono altri fattori in gioco.
Quali?
Il primo fattore è che la politica di Obama nei confronti dell’Iran va contro gli interessi di Israele. Tel Aviv ha sempre avuto ottimi rapporti con i sauditi e ha sempre visto come nemico l’Iran. Israele si era sempre sentita protetta dalle politiche antiiraniane dei presidenti americani, Obama ha cambiato gli elementi in gioco.
Gli altri fattori?
Il fallimento delle cosiddette primavere arabe. Questo fallimento ha disgregato Siria e Yemen, mentre l’Iraq era già disgregato dal 2003. Tutto questo ha favorito l’emergere di forze che sono contrarie all’Iran cioè Isis e Al Qaeda in quanto sunniti, e la disgregazione dello Yemen in particolare ha fatto emergere gli sciiti del posto che però sono zaiditi e quindi non automaticamente legati all’Iran.
Questo cosa comporta?
Che la presenza e l’attivismo sciita nello Yemen, dove il potere era sempre stato detenuto da forze sunnite, preoccupa geopoliticamente l’Arabia Saudita.
L’Arabia si sente in un certo modo “circondata”…
C’è ancora un ultimo fattore di cui stranamente non parla nessuno, né giornali né televisioni.
Di cosa si tratta?
Del fatto che la famiglia reale saudita non è per nulla compatta. Ci sono delle correnti molto forti di rivalità tra la gerarchia dei figli della moglie favorita di re Sa’ud, una rivalità tra chi ha dominato il trono per decenni e altri clan all’interno della famiglia reale. L’attuale re, Salman, non fa parte della famiglia prevalente saudita che c’era prima di lui e quindi si potrebbe pensare che stiamo assistendo a un tentativo di destabilizzarlo.
Quale sviluppo pensa possa prendere questa situazione?
Gli iraniani adesso stanno facendo la voce grossa più per motivi interni che internazionali. Non possono certo fare la figura degli stupidi dopo l’esecuzione dell’imam sciita, ma non è intenzione di nessuno dei due paesi di scatenare una escalation o addirittura una guerra.
Perché?
Non conviene a nessuno una destabilizzazione ulteriore dell’area, sarebbe un servizio reso all’Isis e questo non serve all’Iran perché l’Isis è sunnita, ma neanche serve ai sauditi perché l’Isis può essere una forza in grado di spazzare via la stessa Arabia. In un quadro regionale già disgregato a nessuno interessa aumentare questa situazione.