Sabbia bianca e fina, coste immacolate e mare da sogno. In Messico, nell’area di Puerto Vallarta, è sorta dal nulla una spiaggia sconosciuta e incontaminata, raggiungibile dai turisti solamente a nuoto attraversando un breve tunnel. La spiegazione di questo mistero è tanto semplice quanto inquietante: il governo locale sta infatti effettuando su alcune isole a largo della costa messicana, ovviamente disabitate, numerosi test nucleari.
La devastazione prodotta dai chilotoni sganciati al suolo ha quindi generato questo paradiso terrestre che però altro non è che l’ennesimo prodotto dell’incontrollata mano dell’uomo. Da sempre isole come queste vengono utilizzate per test del genere: basti pensare alle ormai celebri Isole Marshall, stato insulare dell’Oceania dove, tra il 1946 ed il 1958, gli Stati Uniti testarono ben 66 armi nucleari, incluso il test nucleare più grande che gli Stati Uniti abbiano mai condotto, il Castle Bravo, detonato nell’atollo di Bikini.
In questo caso, però, inspiegabilmente, gli abitanti degli atolli di Rongerik e Utirik, sottovento rispetto a Bikini, non furono evacuati e ne subirono tutte le drammatiche conseguenze. C’è poi il caso Moruroa, uno degli atolli che formano l’arcipelago Tuamotu della Polinesia francese, situato nell’Oceano Pacifico, utilizzato tra gli anni 1966 e 1996 dalla Francia come sito per test nucleari insieme al vicino atollo di Fangataufa.
All’interno del vulcano che sorge sull’atollo, a una profondità di circa 500 metri, sono state negli anni prodotte 138 esplosioni nucleari. È stato calcolato che la potenza accumulata dal 1975 a Mururoa corrisponde a circa 200 bombe del tipo esploso a Hiroshima.