Proprio così Dante, in compagnia di Virgilio, termina la sua prima cantica, l’Inferno. E’ ciò che penso mentre stiro gli indumenti della famiglia e ascolto Radio Uno che mi tiene compagnia. Oggi però è un giorno speciale per l’umanità intera: sento le voci esultanti per l’uscita del quinto minatore cileno, finalmente ricongiunto ai suoi familiari, da più di due mesi in attesa di riabbracciarlo.
Colgo gli aspetti maggiormente significativi descritti dagli esperti invitati a esprimere il loro punto di vista su ciò che sta accadendo, è accaduto, accadrà a quelle singole persone. Non occorre vedere la scena in diretta video, me la immagino. Finalmente un evento mediatico edificante che tratteggia gli aspetti migliori della solidarietà globale, frutto di un impegnativo lavoro di equipe tra i quali l’apporto determinante di un ingegnere italiano ancora lì presente.
E’ l’epilogo di una vicenda tenuta in vita anche dai mezzi di comunicazione di massa: oggi possono esultare anche loro. Qualche ascoltatore scrive e rammenta la tragedia di Vermicino. Allora attendevo il mio secondogenito e vidi in notturna la dignità composta del presidente della Repubblica Sandro Pertini, accorso e rimasto lì tutta la notte nella speranza di poter assistere alla liberazione del bambino precipitato nella botola. Ma non accadde e assistemmo in diretta al consumarsi della tragedia.
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Ora mi domando cosa abbia mantenuto in vita i trentatré minatori sepolti nelle viscere della Terra. Ciascuno potrebbe comunicare le proprie ipotesi e supposizioni. Chi si occupa di adattamento corporeo alla temperatura fissa di 30 gradi in un loculo ristretto dove è impossibile riconoscere l’alternanza tra il giorno e la notte, chi segnala altri aspetti psicologici particolarmente nocivi. Eppure a sorreggere il trauma psicofisico e la promiscuità forzata potrebbe essere stata la naturale condivisione del dolore per la perdita della libertà oltre che degli affetti.
Proprio in questi giorni ho iniziato a leggere un libro appena edito intitolato "La persona". Cosa c’entra la filosofia dell’Etica e ontologia in Nicolai Hartmann scritto da Carlo Scognamiglio col duro lavoro e i pericoli dei “rinati” minatori? In altri termini è ciò che chiesi alla nuova professoressa di filosofia quando si presentò, proveniente da Roma, ad insegnare nel nostro storico Istituto magistrale milanese. Ci fece apprezzare la materia che studiavamo ormai solo per dovere, ma della quale non avevamo ancora colto nessi con la vita reale. A distanza di anni le sono ancora grata.
I lavori domestici li affronto quotidianamente con la consapevolezza che la conoscenza e la cultura sedimentata nella mia mente mi hanno resa una persona libera.