Avendo gli Stati Uniti il controllo totale dello spazio aereo alla scala planetaria, l’accordo siglato nella notte di sabato scorso 23 novembre a Ginevra fra le potenze del gruppo dei 5+1 e l’Iran non presenta alcun rischio per la pace né per il presente, né per il futuro. Perciò non è affatto vero che “da oggi il mondo è più pericoloso” come pare ieri a Gerusalemme abbia dichiarato il premier israeliano Benyamin Netanyahu in apertura della seduta settimanale del consiglio dei ministri, come di routine convocata la domenica (che, essendo in Israele il primo dei giorni feriali, là è un “lunedì”). Malgrado le smargiassate dell’oggi uscito di scena premier iraniano Ahmadinejad, in primo luogo l’Iran non ha il grado di sviluppo che è indispensabile per poter produrre ordigni nucleari realmente utilizzabili; e in secondo luogo, se si provasse a costruirli, gli Stati Uniti – padroni assoluti della telecomunicazione e appunto dello spazio aereo mondiale – se ne accorgerebbero e non esiterebbero a lungo a fornire a Israele tutta l’assistenza tecnica necessaria per attaccare dal cielo e radere al suolo gli impianti nucleari iraniani.
In base all’accordo siglato ieri, l’Iran si impegna a interrompere l’arricchimento dell’uranio al di sopra del 5%, a non dotarsi di altre centrifughe e a neutralizzare le proprie riserve di uranio arricchito a quasi il 20%, mentre le potenze del gruppo dei 5+1 si impegnano per i prossimi sei mesi a non imporre sanzioni all’Iran. In questi sei mesi le parti continueranno le trattative in vista di un accordo generale che finalmente – aggiungiamo noi – toglierebbe dall’isolamento un paese di 75 milioni di abitanti prescindendo dal quale non si può giungere ad alcuna stabilizzazione del Vicino e Medio Oriente.
Rinviando per ulteriori approfondimenti in proposito a un nostro precedente intervento, ci soffermiamo qui piuttosto su chi ha trattato l’accordo con Teheran, ossia l’inedito o comunque poco conosciuto Gruppo dei 5 + 1. Si tratta di un gruppo composto dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ovvero le potenze vincitrici della seconda guerra mondiale (Usa, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina) più la Germania, ovvero la principale potenza sconfitta. Essendo i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza stabiliti in base a una vicenda conclusasi quasi settant’anni or sono, e i cui effetti geo-strategici si sono ormai esauriti da almeno vent’anni, ben venga qualsiasi cosa costituisca un fatto nuovo rispetto a quel superatissimo status quo.
Il membro aggiunto, il +1, ovvero la Germania, ha peraltro più che mai senso trattandosi non solo del maggior paese europeo ma anche di una potenza che ha pure specifici legami sia attuali che storici con l’Iran.
Per decenni, fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Gran Bretagna e Germania si erano disputati l’influenza sull’Iran finché nel 1941 Londra riuscì a far cadere lo Scià padre di Reza Pahlevi, che era filo-tedesco, e a mettere al suo posto il figlio, che era invece filo-inglese (e che restò al potere fino a quando nel 1979 venne cacciato da Khomeini). Non di meno, al di là di tutto ciò che da allora è accaduto, la Germania è sempre riuscita a mantenere ovvero a ricostruirsi un ruolo di rilievo nei rapporti tra Occidente e Iran, nel cui interscambio con l’estero ha tuttora ampio spazio.
Piuttosto dispiace che i nostri più recenti governi, presieduti da personalità che vantano grandi entrature nei salotti buoni dell’Occidente, non siano riusciti a impedire che l’Italia venisse lasciata fuori dell’inedito gruppo. Ne avremmo avuto motivo e legittimo interesse sia per gli storici meriti che grazie all’Eni di Enrico Mattei ci guadagnammo all’epoca della crisi seguita alla nazionalizzazione del petrolio iraniano, e sia per i rapporti che comunque siamo riusciti a mantenere fino ad oggi.