Padri di famiglia che cercano cibo in mezzo alla spazzatura, servizi igienici inesistenti, strutture fatiscenti: le immagini che vediamo qui in occidente dei campi profughi in Libano testimoniano una realtà drammatica. Marco Perini, responsabile dei progetti Avsi (Associazione volontari servizio internazionale) per Libano, Siria e Giordania, racconta di numeri ormai insostenibili. I campi profughi palestinesi esistevano infatti già prima della guerra in Siria, oggi con i disperati che fuggono da quella guerra i profughi si sono triplicati, circa un milione e mezzo di persone, corrispondente al 40% dell’intera popolazione libanese. Tutto questo mentre l’aiuto umanitario delle grandi organizzazioni internazionali si riduce. Ma l’emergenza, dice Perini, non è solo quella di sfamare o di dare lavoro, la vera emergenza è ricostruire l’umano di un popolo che oggi ha perso qualsiasi aspettativa nel futuro e nella speranza di vivere in modo dignitoso.
Perini, di cosa si occupa precisamente?
Sono in Libano da sette anni e mi occupo dei progetti Avsi qui, in Giordania e in Siria. Coordino le attività nei campi profughi e non solo.
Cioè?
I profughi in Libano e in Giordania si dividono in due categorie: quelli che stanno nei campi e quelli che vivono in grandi agglomerati urbani fatti di case fatiscenti senza servizi. Lavoriamo con entrambi.
I campi profughi esistevano in Libano già prima della guerra siriana, adesso il numero è ovviamente cresciuto…
La situazione nei campi profughi palestinesi era già molto difficile prima della crisi siriana. Con i profughi scappati dalla Siria abbiamo una situazione ancora più difficile. Oggi si parla di un milione e mezzo, forse più, di profughi, tenendo conto che ci sono anche quelli non registrati. E’ il 40% dell’intera popolazione libanese.
Il governo libanese dà libero accesso a chiunque o ci sono delle limitazioni?
Fino a circa un anno fa c’era accesso libero a chiunque oggi viene permesso solo a casi particolarmente vulnerabili. Se lei va alla frontiera tra Libano e Siria oggi troverà file di persone bloccate in una sorta di terra di nessuno e che non riescono a entrare in Libano.
Chi sostiene economicamente questi profughi oltre al governo libanese?
C’è un grande intervento umanitario dell’Onu, dell’Unione europea e altre agenzie internazionali, chiaramente non sufficiente per un impatto di questo livello. In questi giorni il governo libanese ha finalmente dato l’ok al programma “Back to school”, aprendo tutte le scuole pubbliche ai bambini siriani profughi. Il problema è che ha messo a disposizione 200mila posti, che sono già molti, ma resteranno fuori dalla scuola altri 200mila bambini profughi in età scolare.
Che ne sarà di questi bambini?
E’ qui che si gioca parte del nostro impegno come Avsi, insieme all’Unicef. Una grande attività educativa per sostenere i bambini che non potranno andare a scuola in modo da non creare una generazione di analfabeti, che potrebbe essere carne fresca per l’Isis. Educazione e protezione del bambino fuori della scuola.
Le immagini dei campi profughi che ci arrivano in occidente sono terribili, si parla di emergenza umanitaria.
E’ assolutamente così, dopo quasi cinque anni di guerra la situazione dei profughi è decisamente peggiorata. Tra l’altro l’aiuto umanitario internazionale è in diminuzione, arrivano meno soldi dell’anno scorso. La famiglia siriana che è arrivata qui tre anni fa aveva in tasca, per dire, 5 soldi, oggi non li ha più. I siriani hanno venduto le loro terre e case in Siria spesso sulla parola, fanno debiti dal panettiere anche per comprarsi il pane.
Che cosa fate per questa altra emergenza?
Il World Food Program ha ridotto di un quarto l’aiuto umanitario che dava a queste famiglie. Qualche giorno fa parlavo con una famiglia di profughi. Mi dicevano: siamo preoccupati per l’inverno perché farà freddo e non avremo gasolio sufficiente per riscaldarci sotto le tende, e col cibo arriviamo fino al dieci del mese. Questa è una situazione pericolosissima. Grazie all’aiuto straordinario di tante famiglie italiane cerchiamo di coprire economicamente quei venti giorni per far mangiare queste famiglie fino alla fine del mese. Speriamo che questo aiuto continui sempre più forte.
Che altre attività svolgete?
Invece di dare carte di credito, come fanno sovente le grandi agenzie creando una dipendenza drammatica, noi chiediamo ai siriani di svolgere attività socialmente utili ai libanesi che li accolgono. Ad esempio stiamo risistemando una foresta abbandonata da quarant’anni, costruiamo fossi e muri di contenimento lungo le strade. I libanesi ne hanno beneficio e il siriano torna a casa con venti dollari al giorno. Significa che un padre e un marito può comprare il pane ai figli e non oziare tutto il giorno sotto alla tenda.
Come è invece la situazione a Damasco?
Ci sono stato tre settimane fa, e a differenza di una anno fa oggi tutte le persone che incontravo chiedono una cosa nuova: i soldi per andare in Turchia, in Europa in America. Tutti: in Siria non vuole più rimanere nessuno, tutti. Con l’arrivo dei russi oggi assistiamo a una cosa soltanto: bombe russe, francesi, dei governativi, dell’Isis e la gente muore. C finiscono sotto tutti senza distinzione e il numero delle vittime aumenta sempre di più.
Quale speranza?
Quando, speriamo, si arriverà alla fine del conflitto non credo che la vera questione sarà ricostruire in Siria strade e case o far ritornare al lavoro i profughi. La vera sfida sarà ricostruire le persone: ci troviamo davanti a un popolo senza più nessuna aspettativa per il futuro. Sarà certamente necessario ricostruire le case, ma la vera sfida è ricostruire le persone, ridare loro il desiderio di vivere.
(Paolo Vites)