Chi pensa che l’autoritarismo di Erdogan abbia avuto inizio ora con la vendetta contro il direttore del giornale di opposizione Cumhuriyet, Can Dundar, si sbaglia di grosso. La cosa peraltro non mi stupisce, visto che alle malefatte di Erdogan in Europa si conferisce ben poca importanza, o quantomeno inferiore a quella che riscuotono altre vicende che al cospetto di questa appaiono risibili.
Succede infatti che il giornale diretto da Dundar pubblichi, in un’inchiesta del 2014, delle fotografie in cui viene documentato il passaggio di armi verso i terroristi in Siria attraverso la Turchia tramite dei convogli niente di meno che scortati dai servizi segreti turchi. Anche su questo credo di aver parlato di una cosa che in Europa è passata sotto silenzio o quasi, perché il fatto che ci sia anche la Turchia dietro all’esplosione di Isis è meglio che non si sappia. Fatto sta che Erdogan, che aveva appena fatto arrestare quaranta giornalisti di opposizione, appresa la notizia si scaglia contro Dundar e promette vendetta giurando che avrebbe pagato un prezzo assai caro per questo affronto; perché di questo si tratta in regimi totalitari come quello di Erdogan, un affronto al potere costituito che non ama trovare intralci nelle sue losche trame.
Detto, fatto: il presidente turco denuncia il giornale e il direttore per violazione di segreto di Stato (come se armare terroristi internazionali sia attività lecita e tollerabile), un tribunale di Istanbul riceve la denuncia, apre un’inchiesta e arriva ieri la richiesta del Pm di turno della pena dell’ergastolo per Dundar. Avete letto bene: ergastolo per aver pubblicato delle fotografie che inchiodano un governo presunto amico dei terroristi salafiti di Isis.
Certo, a noi e alla popolazione turca libera non occorrevano le foto di Cumhuriyet per collegare la primavera araba estremista e la figura di Erdogan: se ci si pensa bene, il suo governo è l’unico a non avere avuto alcuna ripercussione da quegli eventi, lui è l’unico a non essere stato abbattuto dai moti rivoluzionari. Perché ne è, assieme alle monarchie del Golfo, il regista occulto, colui che allo scoppio dei primi sommovimenti partì per un tour in tutto il mondo arabo che si rivelò poi disastroso dal punto di vista dell’immagine. Da quel momento è stata un’escalation continua di tentativi di radicalizzazione dei costumi turchi, da cento anni abituati alla laicità, partendo dalla rimozione del divieto di velo nei luoghi pubblici e passando per le frasi offensive verso le donne (che debbono stare a casa e fare figli) o ancora la candidatura della nipote, portatrice anch’ella di valori e intenzioni tutto fuorché laici.
E gli arresti sommari, l’acquisizione sempre più ampia del potere esecutivo, fino alle pressioni sui magistrati e il botta e risposta con Papa Francesco, momento in cui l’immagine di Erdogan, nel frattempo ribattezzato dal popolo turco “il Sultano”, ha toccato il suo punto più basso.
E chissà quante cose ancora potranno e dovranno accadere in Turchia per mano di questo personaggio prima che anche per Can Dundar e gli altri giornalisti intimiditi o imprigionati qualcuno possa dire “Je Suis Dundar” e richiamare alla libertà d’espressione tanto sbandierata quanto troppo spesso usata per convenienza. Solo un gruppo di donne turche ha avuto il coraggio di sfidare il Sultano, voltandosi di spalle al suo passaggio in pullman durante la campagna elettorale: l’Europa che vorrebbe Erdogan al suo interno, invece, alle spalle preferisce la testa china e le ginocchia. Poggiate per terra, a chiedere l’elemosina.