Hanno finalmente un nome i due assassini di Shahbaz Bhatti, il ministro cattolico pakistano ucciso a colpi di mitra nel marzo 2011 durante un raid armato a Islamabad. La mente del delitto è un leader talebano legato ad Al Qaeda, Hammad Adil, mentre l’esecutore materiale è Muhammad Tanveer. I due hanno confessato alla polizia tutti i dettagli relativi al piano attraverso cui Bhatti è stato ucciso. Per il fratello Paul Bhatti, ex ministro per le Minoranze religiose e presidente dell’All Pakistan Minorities Alliance, “nonostante il dolore che mi provoca ancora oggi la morte di Shahbaz, provo un profondo sollievo nel sapere con certezza chi c’è dietro la sua uccisione, e insieme a me il mondo intero che ha creduto in lui”.
Presidente Bhatti, conferma la notizia dell’arresto degli assassini di Shahbaz?
Confermo che si tratta di una notizia vera. I due arrestati fanno parte di una banda che è finita nelle maglie delle forze dell’ordine in quanto coinvolta nella preparazione di un attentato terroristico. Nella casa di uno di loro sono stati trovati 100 chili di esplosivo, e all’interno dell’abitazione è stato inoltre sepolto un terrorista responsabile dell’omicidio di un avvocato. Nel corso dell’interrogatorio agli aderenti a questo gruppo, due di loro hanno confessato di essere gli assassini di Shahbaz e sono stati in grado di fornire tutti i dettagli operativi sul modo in cui è stato pianificato l’omicidio.
Chi c’è veramente dietro a questo gruppo di terroristi?
Il gruppo è in contatto sia con Al Qaeda sia con i talebani del Punjab, e appartiene alle formazioni islamiste considerate fuorilegge dal governo del Pakistan. A sostegno di questa pista investigativa c’è anche l’intervista alla BBC che mio fratello Shahbaz rilasciò poco prima di morire. Nel video affermava che i talebani e i gruppi religiosi che li appoggiano non volevano che continuasse nella sua opera a favore dei diritti dei cristiani e di un cambiamento della legge sulla blasfemia.
Questi arresti possono favorire una riconciliazione nazionale in Pakistan?
Il fatto che l’inchiesta porti a galla la verità convincerà le persone già in buonafede, siano musulmane, cristiane o di altre religioni. Certamente il messaggio di questi arresti potrebbe essere positivo, ma bisognerà vedere in che modo si svolgerà questa inchiesta.
Lei ha dei dubbi sul modo in cui sarà svolta l’inchiesta?
Sì. E’ troppo presto per dire ora come andrà a finire questa vicenda.
A che tipo di dubbi si riferisce?
Quando il caso comparirà di fronte ai giudici, diversi testimoni saranno chiamati a deporre in aula. I due talebani che hanno ammesso di essere gli assassini di mio fratello, una volta iniziato il processo potrebbero cambiare versione dei fatti e dire che non c’entrano nulla.
Al di là della giustizia che deve fare il suo corso, lei ha mai pensato di perdonare gli assassini di suo fratello?
In primo luogo, la decisione di perdonare gli assassini di mio fratello deve essere presa da tutta la mia famiglia. Sappiamo tutti quanto è stata grande la fede in Gesù Cristo di Shahbaz, che ha testimoniato fino all’ultimo il suo essere cristiano. La nostra fede è anche basata sulla riconciliazione, e quindi la possibilità di perdonare chi ha ucciso mio fratello resta sempre aperta. Ciò non esclude che la giustizia debba fare il suo corso, anche per mostrare a tutto il Paese che la magistratura è più forte dei terroristi. Non dimentichiamoci che non siamo ancora arrivati a una sentenza su questa vicenda.
Quindi ha già perdonato o pensa che lo farà?
Il perdono è un percorso, ci penso tutti i giorni ma non è una cosa che può avvenire dall’oggi al domani. Non dimentichiamoci che in questa vicenda sono coinvolte mia madre, mia sorella, gli altri miei fratelli e tutti i seguaci di Shahbaz. Il perdono non è dunque una cosa individuale che riguarda solo me, e che mi sentirei anche di dare, ma è qualcosa rispetto a cui è necessario trovare un consenso con tutte queste persone.
(Pietro Vernizzi)