A integrazione del precedente articolo sulla Nato, vi sono alcuni elementi che meritano una attenzione particolare per comprendere a fondo cosa la Nato veramente rappresenta oggi.
La dimensione politica — Nata come alleanza militare, la Nato si è progressivamente trasformata in una organizzazione politico-militare che si preoccupa della salvaguardia dei valori comuni delle democrazie occidentali, di dimensioni quali la prevenzione dei conflitti e del terrorismo, di protezione e soccorso umanitario — in collaborazione con le Nazioni Unite — e della proiezione della stabilità al di fuori dei propri confini.
Per capire meglio la dimensione politica dell’Alleanza, è utile riassumere i 29 Paesi che ne fanno parte come membri effettivi (e i loro anni di adesione) e quelli con i quali, a diverso titolo, sono stati stabiliti rapporti di partnership.
22 Paesi fanno parte anche dell’Unione Europea. Norvegia e Islanda, al contrario, sono membri Nato e non Ue.
Osservando la carta, viene smentito un primo luogo comune, caro alla narrativa russa — peraltro spesso evocato anche nel nostro Paese —, e cioè la presunta e provocatoria espansione a est della Nato. In realtà, le adesioni all’Alleanza dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia sono sempre partite da iniziative autonome di popoli che hanno legittimamente voluto legarsi all’Occidente sia per ragioni di sicurezza, sia per la condivisione dei valori di democrazia e di libertà che non vedevano garantiti dalla permanenza nell’orbita russa. La Nato, da parte sua, ha sempre imposto ai Paesi aspiranti riforme radicali nel campo della democrazia, del rispetto dei diritti umani, della legalità, della lotta alla corruzione, del controllo democratico sulle forze armate: l’obbligo della realizzazione di queste riforme spiega i numerosi anni che sono stati necessari per perfezionare le adesioni dei vari Paesi.
Peraltro, queste stesse riforme hanno poi costituito, per alcuni Paesi, il presupposto per il loro ingresso nell’Unione Europea: infatti, undici di essi (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Ungheria, Romania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bulgaria, Slovenia e Croazia) sono diventati membri della Ue dopo che avevano già aderito alla Nato.
Si può anche notare che dal 2004 è iniziata la progressiva integrazione dei Balcani occidentali (la ex Jugoslavia), al cui completamento mancano, tuttavia Bosnia Erzegovina, Serbia e Macedonia.
Comunque, per comprendere fino in fondo la dimensione politica assunta dalla Nato, è opportuno menzionare anche i paesi con i quali sono stati stabiliti rapporti di partenariato.
Anzitutto il Consiglio per il Partenariato Euroatlantico (Eapc — Euro Atlantic Partnership Council). Quest’organismo comprende 21 paesi e precisamente: sei paesi europei (Austria, Finlandia, Irlanda, Malta, Svezia, Svizzera), tre paesi dell’Est europeo (Bielorussia, Moldova, Ucraina), i tre paesi caucasici (Armenia, Azerbaijan, Georgia), tre nazioni balcaniche (Bosnia-Erzegovina, Serbia, Macedonia), i cinque Stati dell’Asia Centrale (Kazakistan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan, Uzbekistan) e infine la stessa Russia, la quale ha, nonostante i difficili rapporti, un proprio ambasciatore a Bruxelles presso la Nato.
Con la Russia, la Nato ha stabilito uno specifico organismo di confronto permanente, il Nato-Russia Council, che sta continuando a lavorare pur nella situazione di altissima tensione con la Federazione russa. Organismi bilaterali simili esistono anche con Ucraina (Ukraine-Nato Council) e Georgia (Georgia-Nato Council).
Vi è poi l’organismo di dialogo Mediterraneo della Nato (Nato Mediterranean Dialogue), che coinvolge Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Mauritania, Marocco, Tunisia.
L’Iniziativa di Cooperazione di Istanbul (Istanbul Cooperation Initiative) comprende il Bahrain, il Kuwait, il Qatar e gli Emirati Arabi.
Infine la Nato ha rapporti di partnership allargata con altri Paesi: Afghanistan, Australia, Colombia, Iraq, Giappone, Corea del Sud, Mongolia, Nuova Zelanda, Pakistan.
Anche tre dei principali organismi multilaterali internazionali hanno un rapporto diretto con la Nato: Nazioni Unite, Unione Europea e Osce.
Il coinvolgimento di altri 41 paesi, porta dunque il totale delle nazioni coinvolte nel rapporto con la Nato a 70. E quindi chiaro come oggi l’Alleanza Atlantica non possa più essere considerata una organizzazione regionale, ma come essa abbia ormai assunto una dimensione globale.
La trasformazione della Nato e l’adeguamento ai nuovi scenari — Dalla fine della guerra fredda, perciò dall’inizio degli anni 90 del secolo scorso, la Nato ha progressivamente modificato la propria mission e le proprie caratteristiche per adeguarsi ai mutevoli scenari e alle nuove sfide imposte dalla globalizzazione e dai nuovi equilibri geopolitici mondiali. Per comprendere queste evoluzioni e individuare gli adattamenti necessari, la Nato, dal 2002, ha affiancato al comando per le operazioni (Allied Command Operations, più comunemente nota come Shape — Supreme Headquarters Allied Powers Europe con quartier generale a Mons in Belgio, attualmente guidata dal generale americano Curtis M. Scaparrotti) una struttura denominata Allied Command Transformation, localizzata a Norfolk in Virginia (Usa). Compito di questo comando è esattamente quello di studiare e proporre gli adeguamenti delle strategie e dell’organizzazione della Nato.
La capacità di adattamento dell’Alleanza è rilevabile dalla tipologia di missioni che essa ha svolto negli ultimi vent’anni e che svolge oggi. Dalla fine della guerra fredda, la Nato ha realizzato oltre 50 grandi missioni internazionali. Di queste soltanto poche sono state missioni militari, peraltro autorizzate da risoluzioni delle Nazioni Unite: tra esse le due principali sono quella del 1999 in Kosovo e Serbia e la lunga operazione, iniziata nel 2001, e tutt’ora in corso, in Afghanistan, a seguito dell’attentato alle Torri Gemelle per il quale fu invocata dagli Stati Uniti l’applicazione dell’articolo 5 del trattato. In quest’ultimo caso, nell’ambito della missione a guida Nato, originariamente denominata Enduring Freedom e, dal 2014, Resolute Support, oltre ai membri della Alleanza atlantica, numerosi altri paesi hanno contribuito con le proprie truppe alla forza internazionale International Security Assistance Force — Isaf. Tutte le altre missioni internazionali della Nato hanno coperto ambiti assai poco conosciuti, che hanno comportato l’utilizzo di strumenti militari per operazioni aventi altri fini: la prevenzione del terrorismo e dei conflitti con operazioni di monitoraggio e deterrenza, la lotta alla pirateria marittima, la protezione di corridoi umanitari, il peacekeeping cioè la stabilizzazione e il mantenimento di condizioni di pace, l’addestramento delle forze regolari di paesi che escono da guerre civili o violenti conflitti e anche l’intervento in occasione di eventi naturali disastrosi come terremoti e grandi uragani.
Alcuni esempi. L’operazione Ocean Shield nel Golfo di Aden, iniziata nel 2009 e conclusasi alla fine del 2016, ha consentito il completo annientamento della pirateria marittima che per decenni ha colpito i mercantili al largo del Corno d’Africa. Infatti, il 2016 è stato il primo anno nel quale non si sono verificati attacchi di pirati nei confronti delle navi commerciali.
Per quanto riguarda la stabilizzazione in paesi difficili e caratterizzati da situazioni critiche, basta menzionare il Kosovo, dove l’Italia ha sempre contribuito in modo fondamentale.
Va inoltre citato l’enorme lavoro che la Nato svolge sul fronte della cyber security e delle nuove minacce portate dalla guerra ibrida.
Il fronte sud — Nella percezione collettiva, la Nato è ancora considerata come un’alleanza che guarda esclusivamente alla Russia e vi si contrappone: non è più così. Pur intensificandosi l’impegno sul fronte orientale a causa degli atteggiamenti aggressivi della Federazione Russa, soprattutto negli ultimi anni — anche grazie al lavoro dei paesi del Mediterraneo — l’Alleanza Atlantica ha nettamente aumentato la propria attenzione verso il fronte sud. Ciò a causa dei nuovi rischi provenienti da quel fianco: conflitti e instabilità regionali in Medio Oriente e Nord Africa, del terrorismo e migrazioni. Un dato rilevante sotto il profilo politico è la recente decisione, assunta nel marzo del 2017, di istituire una Direzione strategica per il Sud, che diventerà operativa con l’inizio di settembre di quest’anno e avrà sede presso la base Nato di Napoli. Si tratta di una struttura che affronterà i problemi della sponda sud del Mediterraneo cercando di comprenderne le radici, le cause scatenanti e le dinamiche, in modo da poter indirizzare le scelte della Nato in un’ottica complessiva.
L’Assemblea parlamentare della Nato — Da ultimo alcuni cenni sulla Assemblea parlamentare della Nato, della quale ho l’onore di essere stato eletto presidente nel novembre 2016 durante la sessione annuale di Istanbul.
Si tratta di una organizzazione parallela alla Nato e non di un organismo proprio dell’Alleanza. Essa costituisce un ambito politico-parlamentare nel quale sono rappresentati i Parlamenti dei 29 paesi dell’alleanza, per un totale di 266 membri, oltre a 93 altri di 26 paesi partner o osservatori. Inoltre vengono spesso invitati a specifiche iniziative rappresentanti di Paesi dell’Africa subsahariana, del Golfo, del Medio Oriente.
L’Assemblea parlamentare è suddivisa in cinque commissioni e un comitato speciale per il Mediterraneo e Medio Oriente. Il segretariato ha sede a Bruxelles e le attività dell’Assemblea e delle sue commissioni si svolgono di volta in volta in sedi diverse, ospitate sia da Paesi Nato, sia da partner e osservatori. Le iniziative sono costituite da visite e missioni delle diverse commissioni, seminari aperti a tutti i membri, un forum transatlantico che si tiene a Washington annualmente e un incontro annuale con il Consiglio Atlantico e il segretario generale della Nato. L’Assemblea elabora risoluzioni, rapporti, documenti di indirizzo, che vengono discussi e approvati nelle due sessioni plenarie, quella primaverile e quella annuale che si svolge in autunno. I documenti sono poi sottoposti all’attenzione della Nato come linee di indirizzo e di contributo politico.
L’assemblea costituisce un ambito di discussione molto aperto, la cui crescente importanza è legata al sempre maggior ruolo che la diplomazia parlamentare assume quale complemento della diplomazia governativa.
La vastità degli argomenti affrontati e dei paesi toccati nelle varie missioni è particolarmente rilevante. Personalmente ho avuto l’occasione di incontrare capi di Stato, di Governo, ministri e presidenti di Parlamento di paesi importanti, alcuni dei quali apparentemente molto distanti dalla Nato ma in realtà profondamente interessati a conoscerne le dinamiche, in una prospettiva di sicurezza globale. Ricordo in particolare missioni come quelle in Arabia Saudita, dove ho parlato direttamente con Re Salman, in Egitto dove ho potuto dialogare con il generale Al-Sisi, in Oman, in Cina, in Giappone.
L’Assemblea parlamentare, oltre agli aspetti militari che vengono principalmente gestiti dalla commissione difesa, è attenta soprattutto alle problematiche di tipo geopolitico, al rispetto dei diritti umani, al controllo democratico sulle forze armate e a molti altri argomenti di chiaro contenuto politico, prima e più che militare.