Escalation sempre più probabile tra palestinesi e israeliani: inevitabile, dopo che Hamas ha lanciato ben due missili dalla striscia di Gaza verso Tel Aviv. Missili che sono caduti uno in mare e uno a pochi chilometri dalla periferia sud della città fortunatamente senza provocare danni o feriti, ma abbastanza per fare riaprire i rifugi sotterranei. Cosa che non succedeva dal 1991, quando Saddam aveva ripetutamente bombardato la capitale israeliana. Israele intanto sta ammassando truppe di terra al confine con la striscia di Gaza, con l’apparente intenzione di ripetere l’operazione del 2008 nel tentativo di distruggere i depositi di missili di Hamas. Secondo il generale Fabrizio Castagnetti, contattato da Ilsussidiario.net “è inevitabile a questo punto, dopo gli attacchi missilistici a Tel Aviv, che Israele attacchi a sua volta e invada la striscia di Gaza”. Secondo Castagnetti infatti “i raid aerei servono a ben poco: se non entrano le truppe di terra l’obiettivo cercato non si raggiunge”. Un quadro grave ed estremamente complicato visti i fattori in gioco: la paura rimane sempre quella, la possibile destabilizzazione dell’intero Medio Oriente. Castagnetti parla anche della presenza militare italiana nella zona.
Le truppe di terra dell’esercito israeliano si stanno ammassando ai confini con Gaza: ci sarà l’invasione, come nel 2008?
La notizia rilevante in questo momento sono i missili di Hamas che hanno cercato di colpire Tel Aviv, anche se la precisione finora è stata nulla. Questa è la novità in assoluto: è difficile che Israele, davanti a una minaccia così nei confronti della sua capitale dove vive circa la metà della popolazione dello Stato, non reagisca attaccando con l’esercito. In questo quadro è importante l’azione che saprà giocare l’Egitto: se riuscirà a innescare una tregua, allora tutto si può fermare e probabilmente ripartiranno i discorsi sul processo di pace interrotti da lungo tempo.
Cosa vuol dire, oggi, dal punto di vista militare, una invasione via terra della striscia di Gaza?
Se Israele vuoe eliminare la minaccia dei missili palestinesi, deve per forza andare via terra. Solo con la forza aerea non si risolve granché: è sempre stato così, lo abbiamo visto anche in Libia. La forza aerea non risolve nulla: per risolvere una guerra occorrono i soldati di terra.
L’invasione del 2008 però non ha ottenuto grandi risultati, tanto è vero che Israele deve intervenire di nuovo.
Bisogna tener conto che si tratta di operazioni difficilissime. La striscia di Gaza è molto piccola ed è densamente abitata, e ovviamente c’è la pressione – giusta – della comunità internazionale affinché qualsiasi operazione militare limiti le perdite civili. Tutto questo comporta un serio rischio per i soldati israeliani. Sono operazioni molto, molto a rischio per chi le mette in atto.
Ma sembra siano inevitabili…
Israele ha fatto un solo errore. Se non l’avesse fatto, avrebbe potuto evitare il ripetersi di scenari di guerra.
Quale è stato questo errore?
Quando era in corso il processo di pace, Israele avrebbe dovuto costituire lo Stato palestinese, avrebbe dovuto essere Israele stesso a fare questo passo decisivo. In questo modo avremmo avuto due Stati indipendenti e Israele sarebbe stato in grado di dire: se ti comporti male, ti attacco. E nessuno avrebbe potuto dire nulla. Invece hanno costruito il muro. Un muro che fra qualche decennio saranno costretti ad abbattere, come è stato per il muro di Berlino.
E perché, secondo lei, Israele ha commesso questo errore?
La striscia di Gaza non è collegata con la West Bank dove ci sono gli altri territori palestinesi, dunque per costituire uno Stato palestinese Israele avrebbe dovuto cedere una parte del suo territorio fra le due zone e ovviamente l’amministrazione non se l’è sentita. Questo è stato un errore catastrofico.
L’Egitto, oggi a guida musulmana, potrà intervenire militarmente in caso di attacco israeliano?
No, si può escludere. Potranno alzare la voce, fare attività diplomatica, resta il fatto che non hanno i mezzi militari e le capacità per intervenire sul campo e poi avrebbero contro tutto il mondo occidentale.
Cosa farà l’Italia dal punto di vista militare in caso di attacco israeliano?
Non siamo quasi mai intervenuti in tutte le precedenti situazioni del genere. Attualmente ci sono alcuni carabinieri che aiutano ad addestrare la polizia palestinese. Ci sono poi le unità della Multinational Force and Observers dislocate in Sinai che hanno a disposizione alcune navi.
Che cos’è questa forza e che compiti hanno i soldati italiani?
Si tratta di una forza militare, costituita dopo gli accordi di Camp David, che non appartiene né all’Onu né alla Nato. Il compito è vigilare la zona del Sinai dove, dopo la restituzione all’Egitto, esiste una sorta di vuoto militare ed amministrativo. L’Italia ha tre imbarcazioni della Marina militare che pattugliano lo stretto e alcune forze di terra insieme a Paesi quali il Canada, la Francia e altri ancora. Il quartier generale di questa forza è a Roma.
In caso di ostilità cosa succede a questa forza?
È da capire. Israele di fatto non accetta forze militari di interposizione ai suoi confini, nemmeno quelle dell’Onu. Una forza di interposizione ovviamente avrebbe senso nella striscia di Gaza, ma da parte palestinese non è pensabile perché il territorio è troppo piccolo e troppo abitato dai civili, mentre dall’altra parte Israele non accetterà mai la presenza di truppe straniere sul suo territorio.