In due giorni Morsi taglia le gambe all’esercito. Comprandosi la lealtà dei militari con i soldi dell’emiro del Qatar. Si può riassumere così quanto accaduto ai vertici della piramide del potere in Egitto. A far notare come la decisione del presidente Mohamed Morsi di rimuovere il capo delle forze armate e ministro della Difesa Hussein Tantawi e il capo di stato maggiore Sami Anan sia succeduta alla notizia del deposito, da parte dell’emiro del Qatar Sheikh Hamad bin Khalifa Al Thani, di 2 miliardi di dollari presso la Banca centrale egiziana a sostegno dell’economia del Paese è Gian Micalessin, inviato di lungo corso in Medio oriente che, intervistato da ilsussidiario.net ha tagliato corto spiegando che «i Fratelli musulmani, con l’appoggio finanziario del Qatar, si sono comprati i militari». Mentre i disordini nel Sinai che sarebbero all’origine della decisione di dimettere Tantawi sono solo «un pretesto».
Ci aiuti a capire meglio cos’è successo in Egitto.
È molto semplice. Il presidente Morsi e i Fratelli musulmani (di cui Morsi è esponente di spicco, ndr), con l’appoggio finanziario del Qatar, si sono comprati i militari, non Tantawi ma i suoi sottoposti. E così si sono comprati l’Egitto. I militari hanno di fatto accondisceso alla politica del Qatar e dei Fratelli musulmani, mettendo da parte Tantawi e i vecchi comandanti e accettando di diventare i nuovi “pirati” del regime dei Fratelli musulmani. Ora bisogna vedere se questa mossa può durare, se Tantawi non ha intenzione di mettere in atto delle contromosse; ma intanto non si può fare a meno di notare come la decisione di Morsi sia giunta in concomitanza con la visita al Cairo dell’emiro del Qatar che se ne è andato promettendo due miliardi di dollari in appoggio al presidente e alle esauste casse della Banca centrale d’Egitto.
Quale ruolo sta giocando dunque il Qatar nell’Egitto dei Fratelli musulmani e nello scacchiere geopolitico mediorientale?
Il Qatar è da tempo uno dei principali sostenitori dei Fratelli musulmani. Non dimentichiamoci che lo sceicco Yusuf al-Qaradawi, esponente di punta della Fratellanza musulmana egiziana, parlava dalla tribuna di Al Jazeera, la tv lanciata proprio dall’emiro del Qatar, la stessa emittente che ha sostenuto tutte le rivolte della primavera araba, contribuendo così ad aumentarle. E non possiamo nemmeno dimenticare che negli ultimi dieci anni il Qatar è stato terra d’esilio, non solo per Al-Qaradawi, ma per tutti gli esponenti dei Fratelli musulmani. Il Qatar, in definiva, è uno dei principali protagonisti del grande “risiko” che è in corso in tutto il Medio oriente: il Paese, primo produttore di gas liquido, non vuole limitarsi ad essere una potenza di carattere economico, bensì aspira a giocare un ruolo strategico in Medio oriente, contrapponendosi all’Iran e all’Arabia saudita. Ed è un ruolo che sta giocando già da protagonista non solo in Egitto, ma anche in Tunisia, Siria e Libia.
Non un fuoco di paglia dunque…
Se c’è effettivamente il Qatar dietro la mossa di Morsi, non può essere un fuoco di paglia. Il Qatar inoltre ha giocato un ruolo fondamentale in Libia dove (in occasione della caduta del regime di Mu’ammar Gheddafi, ndr) ha inviato le sue forze speciali. In Siria si è coinvolto pesantemente non solo finanziando gli insorti, gli oppositori al regime di Bashar al-Assad, ma essendo anche presente militarmente sul territorio: in Turchia, infatti, partecipa al coordinamento delle forze d’opposizione. Ma soprattutto, il Qatar ha il grande vantaggio di esser considerato in Occidente come un attore meno compromesso e meno fondamentalista dell’Arabia Saudita e dell’Iran. È considerato a livello quasi della Turchia.
Un partner per il dialogo quindi?
Sì. È un partner accettabile. La Francia ha già intensi rapporti consolidati con il Qatar, che spende miliardi di euro in investimenti immobiliari e, come si sa, è proprietario della squadra di calcio del Paris Saint-Germain. Il Qatar ha un’immagine che all’Occidente piace perché sembra un grande emirato disposto a finanziare tutti i progetti per cui mancano i soldi europei…
Tornado sulla decisione di Morsi di chiedere le dimissioni di Tantawi e Anan, molti dicono che ha pesato l’incapacità di gestire al meglio i disordini in Sinai, dove l’altro giorno 16 militari hanno perso la vita in seguito all’attacco di estremisti islamisti. Lei cosa ne pensa?
Penso che sia stato soltanto il pretesto per mettere a segno un colpo preparato da lungo tempo. Il Sinai è stato giocato ad arte da Morsi per mettere a segno questo colpo contro i militari, notoriamente contrari ai Fratelli musulmani. E non dimentichiamoci che, non a caso, in Sinai è molto presente e opera Hamas, che altro non è se non una filiazione diretta dei Fratelli musulmani.
(Matteo Rigamonti)