Ieri era il primo anniversario della seconda vittoria elettorale di Zapatero e, mentre è scoppiata la crisi economica, il progetto sui cui punta l’esecutivo per i prossimi mesi è la riforma della legge sull’aborto. Il Piano dei Diritti Umani, una delle grandi scommesse della seconda legislatura, sprofonda nel radicalismo. Anche la libertà religiosa è in gioco. Quale risposta è più adeguata?
Le cose si sono svolte in un clima strano. Mercoledì 18 febbraio era stata convocata alle 16,00 la Comissione Uguaglianza della Camera dei deputati ed è iniziata in ritardo. È stato necessario cambiare la sala perché non ci entravano tutti i giornalisti. Durante il dibattito ci sono state molte interruzioni e un ambiente artificiale, come se i deputati volessero togliere importanza a quello che stava per essere approvato.
Il titolo del documento, che è passato con i voti contrari del solo Pp, è molto chiarificatore: “Conclusioni della Sottocommissione sulla riforma della regolazione dell’interruzione volontaria della gravidanza nel quadro di una norma sui diritti e la salute sessuale e riproduttiva”. La Camera raccomanda al Governo di analizzare l’aborto, che viene chiamato Interruzione Volontaria della Gravidanza (Ivg), «alla luce del diritto delle donne a godere della sessualità e a decidere sulla maternità, legato ai diritti e alle libertà riconosciuti dalla Costituzione».
Inoltre aggiunge: «Non siamo davanti a un conflitto tra due diritti fondamentali: gli unici diritti fondamentali sono quelli delle donne». Contrariamente alla Sentenza del Tribunale Costituzionale 53/1985 l’aborto non viene depenalizzato, ma si trasforma in un diritto soggettivo legato all’ambito della salute. Si invita il Governo a prepare una legge con dei tempi, senza specificare quali, con alcuni presupposti (pericolo per la salute della madre, anomalie e malformazioni del feto) per i quali non ci sia un limite temporale.
Si raccomanda anche di «ricondurre la pratica dell’Ivg al regime ordinario, nel quale si riconosce alle minori la capacità di decidere autonomamente a partire dai 16 anni»: un aborto delle minori senza il consenso dei genitori. Lo Stato espropria la paternità e soprattutto impone la solitudine alle figlie in un momento drammatico. È il vecchio sogno del potere: individui soli facilmente manipolabili. Il dibattito sulla legge potrà proseguire nella campagna per le elezioni europee. Zapatero alimenta così l’ennesimo conflitto. I tempi dipenderanno dagli accordi con gli alleati più radicali.
Diritti in continuo cambiamento
Il Governo, con la riforma della legge sull’aborto, accelera quanto previsto nel suo Piano dei Diritti Umani, una delle sue priorità per la politica sociale nella seconda legislatura. Il Piano lo ha presentato la vicepresidente De la Vega nel dicembre del 2008 alle Nazioni Unite. Nella sua introduzione ha sostenuto la necessità che il processo di definizione dei diritti umani sia sempre aperto. «È risaputo che nello stesso momento in cui si smettono di promuovere i diritti, questi cominciano a indebolirsi» assicura il testo.
Per questo c’è da stare attenti a quel che si chiama “la nuova presentazione dei diritti”. Il Piano prende come esempi di questo processo la riforma del Codice Civile della precedente legislatura e la legge sull’Identità dei Generi. La legge 13/2005, che ha reso possibile il matrimonio tra gli omosessuali, nella sua esposizione riguardante i motivi afferma che la nuova legge permette che «coloro che liberamente adottano un’opzione sessuale e affettiva per persone del loro stesso sesso possono sviluppare la loro personalità e i loro diritti in condizioni di uguaglianza».
Un altro esempio: la legge 3/2007 per il cambio dell’identità sessuale senza nessun certificato. Essa sostiene che è necessario tutelare la possibilità di questa modifica per «garantire il libero sviluppo della personalità e della dignità delle persone la cui identità di genere non corrisponde al sesso con cui furono inizialmente registrate». Si porta sul terreno giuridico ciò che Ratzinger chiamava «la divinizzazione della soggettività». Siamo davanti a un «soggettivismo esasperato, che si trasforma in un esasperato volontarismo giuridico», espressione ultima del giusnaturalismo moderno (Paolo Grossi).
Un altro caso di trasformazione di qualsiasi desiderio in diritto è la legge 52/2007, dove uno Stato costruisce la memoria personale. L’articolo 2 di questa legge assicura che, «come espressione del diritto di tutti i cittadini al risascimento morale e al recupero della propria memoria personale e famigliare […] si dichiara il carattere radicalmente ingiusto di tutte le condanne e sanzioni e di ogni tipo di violenza personale prodotte da ragioni politiche, idelogiche o da credenze religiose, durante la Guerra Civile».
Quale libertà religiosa?
Il Piano dei Diritti Umani include la volontà di «rivedere la Legge Organica sulla Libertà Religiosa per adeguarla alle nuove circostanze e al pluralismo religioso che caratterizza la Spagna di oggi; una legge che stabilisca anche le garanzie sull’esercizio del diritto fondamentale alla libertà di coscienza».
De la Vega non ha voluto spiegare in che cosa consisterebbe il cambiamento, ma ci sono alcune piste. Già nell’aprile del 2008 il Governo ha sollecitato il Fisco a intervenire perché, proprio nel solco della Legge Organica della Libertà Religiosa vigente, era stato fatto un accordo negli ospedali di Madrid che integrava nei comitati etici, che sono organi puramente consultivi, dei sacerdoti.
De la Vega ha parlato della necessità di tenere in conto i diritti dei non credenti, la libertà di coscienza e la giurisprudenza del Tribunale Costituzionale. Il deputato socialista Álvaro Cuesta, sostenitore di un laicismo radicale, ha invocato la Sentenza 141/2000. In quella occasione il Tribunale Costituzionale sostiene che «la libertà di credere incontra il suo limite più evidente nella sua stessa libertà, nella sua manifestazione negativa, cioè nel diritto dei terzi colpito dal sopportare gli atti di proselitilismo altrui».
Un’interpretazione estensiva di queste affermazioni potrebbe servire per limitare le espressioni pubbliche della fede. Potrebbe portare a identificare la non confessionalità definita dalla Costituazione con la neutralità, come già alcuni richiedono. Sebbene i socialisti abbiano votato contro la Proposta di legge del maggio del 2008, che chiedeva la sopressione dei simboli religiosi nelle prese d’ufficio, potrebbero puntare a togliere i crocefissi dalle scuole.
Alcuni esperti assicurano che la Sentenza 288/2008 del Tribunale numero 2 di Valladolid, che ha ordinato di togliere il crocefisso dalla scuola Macías Picavea, perché «negli spazi pubblici nessuna religione avrà carattere preferenziale», non è sufficientemente argomentata. In ogni caso esiste già un precedente. La nuova legge può provare a regolare la relazione di altri diritti costituzionali con il diritto alla libertà religiosa. Sembra che non ci sia copertura giuridica per far sì che lo Stato, in nome della libertà di coscienza, si immischi nelle libere relazioni di appartenenza che rendono possibile la vita della Chiesa.
Questo, per esempio, resta fissato nella Sentenza 4831/2002 del Tribunale Costituzionale, che ha risposto alla richiesta fatta da una professoressa di religione de Las Palmas a cui era stata ritirata la Dichiarazione Ecclesiastica di Idoneità per insegnare religione. Dopo avere riconosciuto alle autorità religiose la facoltà di scegliere i professori, la sentenza assicura che «il contenuto del diritto alla libertà religiosa non si esaurisce nella protezione di fronte alle ingerenze esterne di una sfera della libertà individuale […], ma comporta anche una dimensione esterna che si traduce nella possibilità di esercizio di quelle attività che costituiscano manifestazioni o espressioni di un fenomeno religioso, assunto in questo caso da un soggetto collettivo».
Ma nonostante la lettera della giurisprudenza, le frontiere tra il diritto alla libertà religiosa e gli altri diritti costituzionali possono muoversi ed essere utilizzate per limitare la libertà della Chiesa.
Pluralismo e testimonianza
La soggettivizzazione dei diritti e l’invasione dello Stato. La neutralità laicista che tende a ridurre l’apporto della tradizione maggioritaria in Spagna alla vita democratica. Tutto si fa in nome della maggioranza. Le riforme educative e del Codice Civile, che hanno suscitato un importante rifiuto sociale hanno trovato solamente una risposta da parte del Governo: i cambiamenti sono stati votati alla Camera.
Di fronte a questa sorta di muro si è mostrata poco utile l’affermazione astratta dei fondamenti della democrazia spagnola. Alcune voci socialiste si sono levate per ricordare che la Costituzione del ’78 è un riferimento vivo e che laicità non deve essere sinonimo di anticlericalismo. Joaquín Leguina, ex Presidente della Comunità di Madrid, ha criticato apertamente il fatto che, in nome dell’aconfessionalità, la Camera dei Deputati lascierà in sospeso la decisione sul collocare nei suoi edifici una targa dedicata a Madre Maravillas (una carmelitana beatificata). Juan Alberto Belloch, sindaco di Zaragoza, si è rifiutato di ritirare i crocefissi dalla sua sala delle riunioni.
Gesti di testimonianza sì, ma con il valore di segnalare il fatto che ci sono riferimenti oltre a quelli delle maggioranze e che ci sono evidenze condivise da tutti. Senza dubbio un cammino da percorrere. Come lo è il riconoscimento del pluralismo che fanno le recenti sentenze del Tribunale Supremo riguardo la materia dell’Educazione alla Cittadinanza. La Sentenza 905/2008 del Tribunale Supremo formula un’interessante dottrina sui diritti e i limiti che lo Stato ha come educatore e può aprire un dibattito sul significato del pluralismo e sul suo apporto alla vita comune.
Si ricorda, infatti – e questa è una questione che trascende l’ambito educativo – che il pluralismo è un criterio superiore del nostro ordinamento giuridico e che, per questo, lo Stato non può imporre una determinata ideologia. Questo pluralismo ha, secondo il sesto fondamento giuridico, come nucleo principale «il riconoscimento del fatto innegabile della diversità di concezioni che sulla vita individuale e collettiva possono formarsi i cittadini nell’esercizio della propria libertà individuale e la necessità di stabilire alcune basi giuridiche e istituzionali che rendano possibile l’esteriorizzazione e il rispetto di queste diverse concezioni». Questo pluralismo è un valore positivo perché costituisce «un elemento necessario per assicurare un adeguato funzionamento del sistema democratico».
Lo Stato ha il diritto di educare ai principi costituzionali e ai valori che li sottendono, ma non può incorrere in nessuna forma di proselitismo, non può indottrinare su questioni morali controverse. Perché non estendere il ragionamento? Inventare diritti non riconosciuti costituzionalmente che una parte importante della società rifiuta non soffoca il pluralismo? La sentenza ha evidenti limiti perché non riconosce che le differenti concezioni, soprattutto la maggioritaria, possono arricchire il patrimonio costituzionale. Ma questo può essere uno strumento per garantire la libertà.
Questo pluralismo funge da alternativa alla distruzione dell’umano, accelerata dalla soggettivizzazione assoluta dei diritti, quando è effettivo e rende socialmente significativa una tradizione. Nella stessa sottocommisione sull’aborto nessun deputato ha potuto negare l’apporto degli esperti che hanno raccontato la loro esperienza di accoglienza di quelle donne che avevano aiutato a non abortire. L’affermazione dei fondamenti della democrazia così non si presenta opposta alla convivenza (Barbera e Ceccanti), ma come un effettivo aiuto.
L’ordinamento giuridico può arrivare a negare le certezze e le evidenze universali che sostengono i diritti umani, in nome di nuovi diritti (Cartabia). Può negare, come è successo nell’Impero Romano, la dignità di alcune persone. Ma non può soffocare una realtà sociale che esprime nella carne dell’esistenza, attraverso opere, la convenienza del fatto che queste evidenze e certezze siano rispettate e si trasformino in un criterio comune di costruzione.
Quando si vedono, per esempio, bambini con malformazioni che sono stati accolti da altre famiglie rispetto a quelle di origine o malati apparentemente inutili che vengono accompagnati con allegria, grazie a un’esperienza cristiana, è difficile negare il veramente umano. È il caso della famiglia Boccanera, di origine argentina e residente in Spagna. Ha accolto una richiesta dalla Associazione Famiglie per l’Accoglienza per farsi carico di un bambino di tre anni cieco e con una paralisi celebrale. La loro figlia Teresa a scuola parla dei piani del Governo con le sue compagne. Si discute se si dovrebbe abortire quando il bambino può nascere invalido. Teresa risponde: «Sarebbe un bambino come mio fratello». Cade il silenzio. Le compagne conoscono suo fratello. A Famiglie per l’Accoglienza arrivano molte domande. «La gente si fa in quattro quando sa che c’è la necessità di accogliere un bambino perché una madre non ha abortito», commenta il Presidente Belén Cabello.
Organizzazioni sociali come i Centri di Orientamento Familiare e Rete Madre chiedono aiuto a loro per accogliere madri incinte che hanno bisogno di sostegno. In Spagna ci sono, secondo alcune stime, 40 residenze, sostenute dai religiosi, per accogliere madri. La maggior parte attive da 20 anni. Gli aiuti della Comunità di Madrid hanno contribuito a sostenere in questa regione 30 enti dedicati a questo scopo.
Tutto questo tessuto sociale è ora accompagnato da iniziative politiche come quelle che ha avviato il Forum della Famiglia: dal 2006 in tutte le Comunità Autonome si sono sviluppate iniziative legislative popolari per promulgare leggi regionali a sostegno delle madri incinte. Con oltre 40.000 firme, nel Parlamento regionale di Castilla y Leo, sta per arrivare a compimento una legge che garantisce alle madri aiuto, consiglio e orientamento. Sono esempi di un pluralismo che si trasforma in occasione per affermare un’autentica laicità, per una testimonianza che trasmette una verità per tutti e non si limita a esemplificare o completare affettivamente la dottrina (Prades). La partita si gioca tra la carne e l’astrazione.