Malgrado tutto, ovvero malgrado la gigantesca valanga di futili distrazioni che viene messa in moto nella circostanza, il tempo di Natale non può che rimandare al Festeggiato e al luogo della Sua nascita; perciò quindi all’instabilità, alla tensione e agli attriti, più volte degenerati in guerre, che perdurano ormai da oltre cinquant’anni in Terra Santa.
Negli anni della Guerra fredda, nel tentativo (fallito) di spezzare l’anello di rotte navali transoceaniche su cui si fonda l’egemonia planetaria dell’Occidente atlantico, l’Unione Sovietica aveva alimentato e mantenuto attriti e tensioni nei suoi tre “colli di bottiglia”: il Centro America con il Canale di Panama, il Sudest asiatico con gli Stretti di Malacca-Singapore, e appunto il Vicino Oriente con il Canale di Suez e con i suoi oleodotti (anche con le sue riserve di petrolio che, però, con buona pace degli osservatori più superficiali, non sono il nocciolo della questione).
C’era ben più ingiustizia sociale in Bolivia che nel Salvador; ben più miseria nel Nepal che nel Vietnam; e in molte altre parti del mondo c’erano e ci sono storiche inimicizie inter-etniche anche più profonde e radicate di quelle tra israeliani e arabi. Eppure tutti i colpi di Stato militari, tutte le guerriglie, tutti i conflitti inestinguibili e inestricabili scoppiavano e perduravano in questi tre scacchieri; e non certo principalmente per cause endogene.
Oggi, ormai a circa vent’ anni dalla fine della Guerra fredda, il Sudest asiatico è un’area in pace e in notevole crescita, mentre il Centro America sta avviando un piano di generale sviluppo delle sue strutture di transito (sia il canale di Panama che i cosiddetti “canali asciutti”, ecc.) con uno sforzo concorde che nei decenni scorsi era inimmaginabile.
A questo quadro fanno eccezione soltanto il Vicino e il Medio Oriente, dove le tensioni e gli attriti non solo non declinano, ma anzi tendono ad allargarsi. Le ragioni immediate di contrasto ci sono, ma di nuovo si deve sottolineare che ce ne sarebbero tante anche altrove. Ancora una volta ciò che fa la differenza è che in quest’area invece che buttare acqua si continua a soffiare sul fuoco; anche se adesso, a Guerra fredda ormai finita da tempo, le relative responsabilità sono meno lineari e talvolta anche meno consapevoli.
Nella sostanza le carte-chiave del gioco sono tutte in mano all’Occidente, ma l’Occidente – diciamolo ancora una volta – non è soltanto uno. C’è l’Occidente atlantico, quello che è stato a lungo l’Occidente tout court grazie alla sua vittoria nella Seconda guerra mondiale; poi però ci sono anche l’Occidente baltico-sarmatico, il cui perno è la Germania, e l’Occidente mediterraneo-danubiano (cui, seppure a loro modo, la Baviera e altri Länder della Germania meridionale non sono estranei) il cui perno sarebbe il nostro Paese se soltanto se ne rendesse conto e ne tirasse le conseguenze.
Per quanto concerne il Vicino e Medio Oriente, all’Occidente atlantico basta che l’area sia in tregua, mentre all’Occidente mediterraneo-danubiano interessa che sia non solo in tregua ma anche in pace e in sviluppo; all’Occidente baltico-sarmatico infine interessa poco o niente. È chiaro poi che, al di là di queste diverse linee di gravitazione geo-politica, l’Occidente consiste nel suo insieme. La sintesi si deve dunque fare, ma non semplicemente annichilendo ogni altro legittimo interesse a favore di quello atlantico, come si fece finché durarono gli equilibri prodotti dall’esito della Seconda guerra mondiale.
Così stando le cose, l’Italia, l’unico membro del G8 a essere bagnato dal Mediterraneo e dal Mediterraneo soltanto, ha un grosso ruolo da svolgere. La pace e lo sviluppo del Vicino e del Medio Oriente non sono né remoti, né impossibili. Per questo però occorre un impegno forte e mirato del nostro Paese.