Circa due settimane fa, rientrando in Italia da Buenos Aires, venivo avvisato dallo scalo Alitalia della presenza sul volo di Monsignor Bergoglio, che si recava a Roma per il Conclave. La sua figura in Argentina è sempre stata circondata dal massimo rispetto proprio per il suo profilo basso, senza clamori. Cosa che ha portato anche a giudizi negativi sul suo passato, specialmente per il periodo riguardante la dittatura degli anni Settanta, dato che è stato accusato di un silenzio verso quell’infausto regime. Ma questo sembra essere il lato preponderante del suo carattere schivo al punto di passare inosservato comportandosi come un passeggero normale ed evitando tutte le corsie preferenziali riservate ai personaggi importanti.
Una volta imbarcato, durante il viaggio, avendolo vicino mi sono permesso di chiedergli di concedermi un’intervista, richiesta da lui declinata con queste parole: “Non si offenda, anzi la ringrazio, ma sappia che io evito i contatti con la stampa. Prima di partire ho detto giusto quattro parole all’Ansa”.
La sua elezione la presagivo perché credo fermamente che sia la persona adatta a guidare una Chiesa alle prese con problemi grossissimi, che necessita di una persona del suo genere per essere condotta verso una necessaria rivoluzione. Non avrà il carisma mediatico di Giovanni Paolo II, ma sicuramente in lui si percepisce qualcosa di molto simile a Giovanni XXIII, anche lui semplice uomo tra gli uomini.
La sua elezione rappresenta anche un’occasione unica per puntare i riflettori del mondo su di un continente, l’America Latina, troppo poco considerato anche nella crisi attuale, nonostante in molti paesi siano in atto processi interessantissimi di emancipazione dal mondo globalizzato, fatti che hanno portato in alcuni casi alla creazione di Stati governati da oligarchie dispotiche (come la sua Argentina – difatti i suoi rapporti con i Kirchner non si sono mai potuti considerare idilliaci), ma anche alla nascita e allo sviluppo di potenze economiche come il Brasile, di paesi come il Cile, che, investito negli anni Settanta da dittature sanguinarie, ha saputo percorrere il cammino della democrazia attraverso un dialogo apertissimo e civile e adesso costituisce un modello che dovrebbe essere preso come esempio da altre nazioni, come l’Italia.
Una volta arrivato a Roma, non c’era nessuna auto di rappresentanza ad accogliere il futuro Papa sottobordo: come tutti gli altri passeggeri si è incamminato verso l’autobus che ci portava all’aerostazione dove ha pazientemente atteso l’arrivo del proprio bagaglio.
I primi commenti dopo la sua elezione parlano di una scelta rivoluzionaria operata dalla Chiesa, di un Papa venuto dal Terzo Mondo, espressione ormai obsoleta e spesso usata per differenziarsi da un altro mondo che si definisce più all’avanguardia e civilizzato, ma che per potersi ritrovare, per poter portare in essere quella rivoluzione anche per lui necessaria nell’attuale crisi di valori che lo avvolge, ha bisogno di ricollegarsi ai semplici insegnamenti di quel grande rivoluzionario che risponde al nome di San Francesco d’Assisi… e non è un caso se l’attuale Papa ha scelto di chiamarsi così.
L’Argentina intera è esplosa di gioia alla notizia della sua elezione: la gente si è ritrovata per strada e ha manifestato usando lo stesso strumento che aveva sintetizzato la sua rabbia per gli effetti della famosa crisi del 2001, con la percussione delle pentole con le posate, i famosi “cacerolazos”. Adesso questo ritmo si è trasformato in felicità e speranza, ampiamente condivisibili da tutti noi.