Qui in Irlanda, il nuovo presidente è conosciuto semplicemente come “Michael D”, il che dimostra un profondo affetto per lui. Eppure, ha dovuto lottare strenuamente per la sua elezione contro un protagonista di reality Tv, sostenuto da intelligenti consulenti media. Ma venerdì 11 novembre, Michael D. è diventato il nono presidente dell’Irlanda.
Michael D. Higgins è un uomo formidabile e serio, le cui posizioni politiche si sono formate attraverso una esperienza personale dolorosa e di povertà. Dai cinque ai diciotto anni ha vissuto con i suoi zii, perché il padre, combattente nella guerra di indipendenza irlandese, era troppo ammalato per occuparsi dei quattro figli. Michael e il fratellino di quattro anni furono affidati agli zii, mentre le due sorelle rimasero a casa.
Michael ha lavorato duramente per arrivare dalla povertà a Primo Cittadino della Repubblica. Dopo la scuola secondaria, si impiegò nella società dell’elettricità e poi, a ventuno anni come maturo studente, andò all’università grazie all’aiuto finanziario di un amico che lo ammirava.
A differenza del presidente uscente, Mary McAleese, non è un cattolico dichiarato, anche se non è chiaro se lo sia rimasto in privato, almeno nominalmente, ambiguità questa mai dissipata, nonostante i numerosi scontri con la Chiesa cattolica su materie come il divorzio, la contraccezione e l’aborto.
In Michael D si riscontra una profonda forza morale e intellettuale, alimentata dalla rabbia che ha dentro, una rabbia “buona”, perché diretta verso che ciò che ritiene ingiustizia, e molto legata alla contorta traiettoria dell’Irlanda indipendente. In altre parole, un socialista più emozionale che ideologico.
Al centro della sua campagna elettorale ha posto la creazione di una “cittadinanza radicale e inclusiva”, in cui le persone siano considerate per la loro dignità intrinseca e non per il loro stato o le loro proprietà. Da questo, dice, sorgerà una società più creativa, perché le persone lavoreranno meglio sentendosi valutate per se stesse, e non per qualche “status presunto”.
La parola “etico”, dice, è importante. “Stiamo uscendo, spero, da un vuoto etico” ha detto riferendosi al collasso seguito al boom economico dell’Irlanda, auspicando l’inizio di una nuova epoca caratterizzata dalle idee, non solo in Irlanda, ma in tutto il mondo.
È interessante notare, in un personaggio famoso per le sue capacità intellettuali, quanto nella sua personalità sia invece pura emozione, cosa che risalta soprattutto nei suoi discorsi pubblici. Quando parla a braccio su un tema che ha ben presente in testa, è come se creasse una specie di musica. È a suo modo una figura suggestiva che potrebbe riservare delle sorprese nei prossimi anni.
I possibili dubbi vengono dalla sclerosi del pensiero che lo circonda, in particolare dei suoi sostenitori, e lo si è visto spesso evasivo o di parte sulle materie che non sono specifiche dell’agenda progressista. Forse vent’anni fa Michael D rappresentava le speranze dei giovani irlandesi in un futuro di passione, intelligenza e progresso, ma nel corso degli anni è sembrato che anch’egli si sia arreso a una concezione di progressismo sempre meno rilevante per la reale vita irlandese.
Se 25 o 30 anni fa mi fossi svegliato una mattina con la notizia che Michael D Higgins era stato appena eletto presidente, avrei pensato che fosse finalmente arrivata la rivoluzione a lungo desiderata e, nella vita pubblica, niente mi avrebbe altrettanto riempito di gioia e di aspettative come la sua elezione.
Oggi, non sono più così sicuro. Michael D si è scagliato a lungo contro il “conservatorismo” della vita irlandese, ma oggi essere “conservatore” non significa più essere cattolico, “di destra”, tradizionalista o conformista, semmai l’opposto. Essere un “conservatore” oggi significa gloriarsi della sconfitta delle sensibilità che erano nel cuore dell’Irlanda in cui siamo cresciuti, e chiedere che siano mantenute tutte le conquiste delle rivoluzioni degli ultimi trent’anni, senza tener in alcun conto le loro conseguenze nella vita reale. A rischio di discriminazione non sono più le donne o gli omosessuali, ma gli eterosessuali bianchi di classe media, l’unica categoria non protetta dalle nuove elargizioni di “correttezza politica” con le quali oggi vengono decise giustizia e onestà.
Non ho dubbio alcuno sulla capacità e il coraggio di Michael D di riconoscere l’ingiustizia ovunque si trovi, ma nei suoi discorsi durante e dopo la campagna elettorale, pur nell’abituale capacità retorica, mi sembra che manchi qualcosa: la capacità di tradurre in un linguaggio adatto alla situazione odierna quei desideri fondamentali di giustizia e verità che hanno caratterizzato fin dall’inizio la vita pubblica di Michael D.
Non credo si possa continuare a esprimere queste esigenze con termini del 1983: un “progressismo” consapevolmente di sinistra, “liberal”e laicista. Penso che ci sia bisogno di un nuovo linguaggio per descrivere i mali della nostra società e un radicalismo che non ne sia capace non è degno di definirsi tale.
La maggiore preoccupazione è che il nostro nono presidente rimanga prigioniero delle sclerotiche forze del “progressismo” irlandese, cui è debitore per la sua elezione, che si sono appropriate ideologicamente del linguaggio del progresso, dell’illuminismo e della evoluzione sociale e che considerano controrivoluzionario e proditorio ogni richiamo al vero significato di parole come “giustizia” ed “eguaglianza”.
Ho paura che se Michael D cercherà di ridefinire nella nostra società le parole giustizia o verità, si troverà accusato dai suoi ex compagni di sinistra di essere passato su posizioni “reazionarie”. E temo che venga abortito il suo indubbio potenziale per dar voce a una vera trasformazione.