La tempistica. Ecco! E’ proprio quella che lascia perplessi nella vicenda Froome. In tanti passaggi. Se le informazioni circolate sono attendibili, l’atleta e il suo team sarebbero stati informati della positività il 20 settembre, cioè 13 giorni dopo il test antidoping, il cui riscontro era nelle mani dei dirigenti Uci al massimo 72 ore dopo. Per una decina di giorni la “pratica scottante” è rimasta dunque congelata. Perché? Per evitare forse di danneggiare la partecipazione di Froome al Mondiale di Bergen dove il percorso a cronometro era pennellato per lui?
Era nel diritto dell’Uci non rendere pubblica la cosa, ma in altri casi non ci si è fatti scrupolo di spiattellare ai media la notizia di una positività, da sempre ci sono figli e figliastri. Fatto sta che, a cronometro mondiale finita, Froome e Sky sono “informati”. E’ l’ultimo atto di gestione della presidenza del “britannico” Cookson. L’indomani viene eletto il francese Lappartient come nuovo presidente Uci. Il percorso delle controanalisi avviene dunque sotto la nuova gestione. Se dovessimo ragionare sugli atti formali dovremmo dedurre che si sono presi quasi tre mesi per organizzare le controanalisi.
Ammesso e non concesso che ci sia voluto tutto questo tempo, come possono una squadra e un atleta fare una pianificazione del 2018 e renderla pubblica (con tanto di annunciata presenza al Giro d’Italia) come se niente fosse, ignorando la mannaia di una possibile squalifica che in casi analoghi (Ulissi ad esempio) fu di 9 mesi?
Viene da pensare che tutto questo tempo in realtà sia servito per trovare un accordo tra Froome, Sky e la Uci che possa essere compatibile con la serenità dimostrata nei fatti dal team britannico e dal suo atleta di punta. E allora si spiegherebbe anche il tempismo di un comunicato Sky sulla positività di Froome che precede di qualche minuto quello ufficiale dell’Uci.
Se i termini della questione fossero questi, è difficile non tornare indietro con la memoria ai tempi di Armstrong e Verbruggen: l’Uci copriva chi la ricopriva d’oro. Con la variante che a tenere in ostaggio il ciclismo oggi sarebbe non più un personaggio ma un team-nazione che ha investito e investe più di chiunque altro nelle due ruote.