Gettata finalmente la maschera, il Barcellona si è mosso senza indugi: per sopperire a una stagione che rischia di terminare in modo disastroso, si affida a un uomo che ha il blaugrana nel sangue. Lo conosciamo anche in Italia: è Luis Enrique, e non ha lasciato troppi ricordi positivi. Anzi: qui circolano ancora battute sul suo infinito possesso palla e sulle verticalizzazioni rare e rarissime. Ma la Spagna è un’altra cosa, e il Camp Nou un’altra ancora: qui, l’esperimento può funzionare. Intanto i fatti: gli emissari blaugrana sono stati a Vigo e hanno parlato con l’allenatore del Celta, che ha condotto la squadra a una comoda salvezza e quasi ad affacciarsi all’Europa. Luis Enrique ha il contratto ancora per una stagione, ma pare non sarà un problema: si è già discusso di calciomercato e uomini dello staff. Insomma: salvo ribaltoni, l’asturiano sarà il prossimo allenatore del Barcellona. Chiudendo così il cerchio, anzi potendo aprirne un altro: lo avevamo scritto qualche tempo fa, l’ex centrocampista (o esterno offensivo, o seconda punta) era il principale candidato alla panchina già lo scorso anno. Ma allora aveva deciso di ripartire, dopo l’anno sabbatico, da una realtà più piccola, per farsi le ossa. Ora tornerà dove appartiene: otto stagioni con la maglia del Barcellona tra il 1996 e il 2004, con 109 gol in 300 partite tonde tonde. Tre anni da allenatore della formazione B; il popolo culè lo ama per la grinta e la dedizione che ha sempre messo in campo, e perchè scelse di lasciare il Real Madrid diventando una bandiera al Camp Nou. Mica cose di tutti i giorni; l’asturiano da quelle parti è un simbolo, uno che ha fatto parte del Dream Team di Cruijff, un ex compagno di squadra di Guardiola. Già, Pep Guardiola: ecco perchè il cerchio si chiude. La storia ha sempre dimostrato che chi ha fatto particolarmente bene a Barcellona arriva dall’interno. Un po’ la politica del Milan, ma sublimata; certo Frank Rijkaard e Louis Van Gaal non avevano trascorsi catalani, ma l’Olanda ha un legame particolare con il Camp Nou da almeno quarant’anni, da quando cioè Rinus Michels abbandonò l’Ajax per andare a vincere Liga e e Coppa del Re. Johan Cruijff, che lo raggiunse due anni dopo, è poi diventato un barcellonista nel sangue, e così ha fatto Guardiola al quale senza esitazione è stata affidata la squadra dopo la fine del ciclo Rijkaard. Con Luis Enrique succede lo stesso:
Già in molti pensavano, e avevano ragione, che Gerardo Martino potesse essere un semplice traghettatore in attesa della scelta “vera”. Il Tata non ha poi fatto male: ha 85 punti in campionato quando mancano due giornate, è ancora in corsa per la Liga e ha raggiunto i quarti di Champions League dopo aver vinto la Supercoppa di Spagna. Però, il Barcellona arrivava in semifinale in Europa da sei stagioni consecutive, il trofeo di agosto è un contentino e il campionato salvo miracoli è perso; in più, c’è la macchia della finale di Coppa del Re consegnata al Real Madrid. Vero, Martino ha vinto al Bernabeu e battuto due volte i blancos ma per contro il suo gioco non ha mai davvero attecchito. Pensiamo allora a cosa accadde nel 2008: via Ronaldinho, Deco, Thuram e Zambrotta. E Rijkaard. Dentro i giovani Sergio Busquets, Pique (rientrato dal prestito) e Pedro. E Guardiola, che come Luis Enrique aveva allenato la seconda formazione del Barcellona. Risultato: Triplete subito, e sei trofei su sei nell’anno solare 2009. La storia si ripete? A Roma sono convinti di no: loro l’asturiano l’hanno visto da vicino, e non li ha convinti. Ma qui siamo al Camp Nou, dove il 4-3-3 e il tiki taka hanno conquistato il mondo. E chissà che uno come Miralem Pjanic non sia il fiore all’occhiello del ritorno a casa di Luis. E pensate un po’, se Luis Enrique dovesse vincere subito a Barcellona…
(Claudio Franceschini)