Ha spiazzato molti, in Italia e all’estero, il viaggio lampo di Giorgia Meloni alla corte di Donald Trump. Viaggio tenuto segretissimo sino all’ultimo, di cui colpisce soprattutto la fretta con cui è stato organizzato. Fretta evidente nell’assenza del personaggio che più di ogni altro fa da collegamento fra la premier italiana e il prossimo presidente a stelle e strisce, Elon Musk. Che ci sia lui dietro i colloqui, pochi dubbi: lo rendono evidente segnali sparsi con qualche ora di anticipo sui social, come pure l’accelerazione del contratto da oltre un miliardo e mezzo di dollari fra il nostro Paese e Space X per la fornitura di servizi di telecomunicazioni sicuri per i prossimi cinque anni che sarebbe venuta dai colloqui di Mar-a-Lago.
Il viaggio non era del tutto improvvisato, visto che Meloni si è ritrovata di fronte i futuri segretari di Stato, Marco Rubio, e del Tesoro, Scott Bessent, il futuro consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz e il già designato ambasciatore USA a Roma, Tillman Fertitta. E la nostra premier ha fatto convergere sulla Florida la nostra rappresentante a Washington, Mariangela Zappia. A parte Musk, il breve incontro è stato al massimo livello immaginabile a due settimane dall’inaguration day del Trump bis.
Di temi da discutere ce n’erano un sacco, dai dazi all’aumento delle spese militari, dalle prospettive della Nato a quelle della guerra in Ucraina. Ma a sentire il New York Times il vero cuore del vertice sarebbe stato il caso di Cecilia Sala, su cui Meloni avrebbe “premuto aggressivamente”. S’intravede un elemento di debolezza del nostro governo in questo momento, su un terreno reso sdrucciolevole dall’imminente cambio della guardia alla Casa Bianca. È come se la premier italiana avesse voluto confrontarsi sul da farsi, visto che il nostro Paese ha fermato Mohamed Abedini Najarfabadi a Malpensa sulla base di un mandato di arresto che viene dall’attuale amministrazione statunitense. Vale la pena insistere sulla linea dura con Teheran, oppure no?
Alla fine dell’iter giudiziario (con l’udienza sugli arresti domiciliari all’uomo dei droni anticipata al 15 gennaio) sull’eventuale estradizione ci sarà una decisione politica, ed è bene confrontarsi con i nuovi interlocutori, anche se di sicuro Meloni ne parlerà pure con Biden, atteso a Roma nel fine settimana per la sua ultima visita da presidente (onde attraversare la Porta Santa ancora in carica, lui secondo inquilino cattolico della Casa Bianca dopo Kennedy).
Il caso Cecilia Sala è già diventato emblematico, e intorno a esso si giocano tante partite differenti. Quella della liberazione di una giovane giornalista già molto famosa, ma anche quella delle relazioni privilegiate fra Trump e Meloni, che vorrebbe accreditarsi come il vero interlocutore della nuova amministrazione in Europa (sfruttando anche l’instabilità di Francia e Germania), ma non deve strafare. Finita, suo malgrado, in una morsa fra Teheran e Washington, Meloni non può permettersi errori, deve soppesare ogni mossa. Non può fare uno sgarbo al 47esimo presidente (che è già stato anche il 45esimo), compromettendo una relazione politica che parte sotto i migliori auspici. Solo nei prossimi giorni capiremo di più.
Va registrato come la nostra premier si sia mossa in assoluta solitudine. Ha voluto accanto a sé la nostra ambasciatrice negli USA, ma pare abbia tenuto all’oscuro Tajani, che infatti per tutta la giornata è sparito dai radar delle dichiarazioni pubbliche. Più loquace Salvini, che non solo plaude all’incontro fra Trump e Meloni, ma conferma che il caso di Cecilia Sala è stato fra i temi discussi. Differenze evidenti, quindi, che potrebbero anche lasciare il segno, specie nei rapporti con il ministro degli Esteri e leader di Forza Italia. Il vicepremier leghista potrebbe vedere agevolato il suo sogno di essere presente al giuramento di “The Donald”. In fondo, quella presenza alla premier non serve più: lei quello che doveva dirsi con Trump in questa fase l’ha già detto, e trovarsi a fianco solo di leader di destra-destra o euroscettici come Milei, Orbán o lo slovacco Fico potrebbe essere scomodo per chi ha votato von der Leyen. L’incontro di Mar-a-Lago per ora può bastare.
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