L’assemblea dei soci di Unicredit, tenutasi nella giornata di giovedì, non ha messo la parola fine alla telenovela Roma-Sensi-Soros. Come, invece, molti commentatori avevano frettolosamente pronosticato. C’è stato, invece, in linea con quanto sta accadendo da settimane, un “gioco” di mezze dichiarazioni e prese di posizione da parte dei vertici della banca. «Se Soros vuole la Roma deve parlare con i Sensi e non con noi», fanno sapere dall’Unicredit, detentore del 49% di Italpetroli, che si chiama fuori dalla trattativa che potrebbe portare alla cessione della A.S. Roma. «Noi non siamo coinvolti in eventuali trattative per vendere gli asset di Italpetroli. Ovviamente la nostra strategia è di salvaguardare la posizione creditizia della Banca, tutelando l’interesse della stessa e dei propri azionisti», ha spiegato Alessandro Profumo, amministratore dell’Istituto di credito. Unicredit non ha ancora rinunciato all’opzione call per rilevare il 51% di ItalPetroli e attende che i Sensi presentino il piano di rientro del debito: «Lo sfruttamento dell’opzione sarà preso in considerazione una volta che sarà presentato il piano di ristrutturazione che è in via di definizione». La palla passa così alla Famiglia, che intanto lavora con Banca Finnat per presentare in tempi rapidi un piano di rientro dai debiti (370 milioni, di cui 340 con Unicredit) e di rilancio di Italpetroli.
Nessuna decisione, quindi, sarà presa prima che il piano dei Sensi venga presentato. E tutto farebbe pensare ad una situazione di stallo. Ma guardando bene sottotraccia, qualcosa ieri è accaduto. Intanto Unicredit ha fatto capire di voler tagliare i ponti con il passato, dismettendo ogni tipo di rapporto e partecipazione in squadre di calcio. Questa presa di posizione fa capire che la Banca non si presterà, come magari accaduto in passato, a fare da tappabuchi o da stampella. Un modo carino per dire: d’ora in poi, se siete capaci, camminate con le vostre gambe. Altro fatto non secondario. Qualsiasi piano di ristrutturazione non dovrà portare a un indebolimento della Italpetroli, come invece accadrebbe nell’ipotesi di vendita del porto di Civitavecchia. L’unico asset che ad oggi avrebbe un compratore, pure credibile, che risponde al nome di George Soros, e un prezzo stabilito (210 milioni), è l’As Roma. Che poi, tra tutti gli asset, da un punto di vista economico è quello considerato meno interessante e meno di prospettiva. Questo, almeno, sarebbe il pensiero della Banca. I Sensi, però, sembrano non pensarla allo stesso modo. Per papà Franco la Roma è un intreccio di affetti, di amore, di storia personale, di famiglia; per la nuova generazione, quella di Rosella & Co, la Roma è tifo, passione, ma anche un importante strumento di “pressione” politica e di visibilità.
Privarsene, oggi, vorrebbe dire uscire dalle luci della ribalta, dai salotti bene, dal giro di amicizie importanti, dal circo politico-mediatico… E questo la Sensi lo sa bene e vuole evitarlo a tutti i costi. Come? Vendendo proprietà del Gruppo, come aveva già iniziato a fare il padre, oppure trovando qualche socio disponibile a entrare nella proprietà in modo graduale, inizialmente come socio di minoranza. Intanto, l’edizione odierna di TuttoSport riporta la notizia di un possibile interesse per la A.S. Roma da parte di Roger Tamraz, petroliere libanese patron di Tamoil. Secondo il quotidiano sportivo torinese, Tamraz avrebbe incontrato a Monte carlo gli advisor di un gruppo francese che si occupa di marketing sportivo per valuta re la formulazione di un’offerta di 350 milioni di euro per l’acquisizione della Roma, visti anche i rapporti di categoria fra i Sensi ed il petroliere del Libano. Voci a parte, la cosa chiara è che, ad oggi, il bene della famiglia Sensi non coincide più con il bene della Roma. E’ tempo, quindi, che le strade si dividano, consensualmente. La prossima stagione è ormai alle porte.