Riceviamo e pubblichiamo il volantino di giudizio di Compagnia delle Opere Sport diffuso oggi in merito alle note vicende legate al calcioscommesse
Uno scandalo che coinvolge lo sport non è uno scandalo qualsiasi. Premesso che solo i tribunali ci diranno se quanto emerso in questi giorni è stato ingigantito da interessi di visibilità di magistrati e media o se siamo effettivamente di fronte a un intreccio vasto di criminalità, è forte l’evidenza che quando il male accade nello sport non ci sentiamo solo offesi: percepiamo l’amarezza di aver subito un tradimento, la tristezza di assistere ad una bellezza sfigurata. “Perché è questo che s’intende in ultima analisi con il gioco: un’azione completamente libera, senza scopo e senza costrizione, che al tempo stesso impegna e occupa tutte le forze dell’uomo. In questo senso il gioco sarebbe una sorta di tentato ritorno al paradiso: l’evasione dalla serietà schiavizzante della vita quotidiana e della necessità di guadagnarsi il pane, per vivere la libera serietà di ciò che non è obbligatorio e perciò è bello.” A scrivere queste parole non è stato un ultrà esaltato ma il cardinal Ratzinger alla vigilia dei mondiali dell’86. E continuava: “Assistendovi, gli uomini si identificano con il gioco e con i giocatori, e partecipano quindi personalmente all’affiatamento e alla rivalità, alla serietà e alla libertà: i giocatori diventano un simbolo della propria vita; il che si ripercuote a sua volta su di loro: essi sanno che gli uomini rappresentano in loro se stessi e si sentono confermati.”
Che grande compito quello di un giocatore, allora! Che responsabilità poter trascinare con sé, in alto o in basso, tante persone che lo guardano identificandosi in una tensione così profonda! Diventa determinante allora, anche ai fini della prestazione in campo, la caratura umana dell’atleta, la sua capacità di aderire con coscienza al proprio compito. Perché, proseguiva il futuro Benedetto XVI, “tutto ciò può essere inquinato da uno spirito affaristico che assoggetta tutto alla cupa serietà del denaro, trasforma il gioco da gioco a industria, e crea un mondo fittizio di dimensioni spaventose”. Ma come si fa a realizzare la giustizia a cui tanto aneliamo? Come dare il nostro contributo positivo alla costruzione del mondo dello sport? Non certo con utopici calmieri al giro di denaro che ruota attorno allo sport (anche se altri paesi, a differenza del nostro, hanno cominciato una riflessione sui costi umani e sociali delle scommesse) né tantomeno imponendo un regime di polizia, anche se la giustizia deve fare il suo lavoro. La nostra esperienza ci indica che non si può che partire dall’educazione, nostra e dei giovani sportivi, cioè dalla cura del cuore che vive dentro ogni uomo, un cuore che è desiderio infinito.
Lo sport in sé non ha il potere di riempire questo cuore, non è una proposta all’altezza del suo desiderio. Ma mette in moto l’uomo potentemente, poiché gli consente di fare un’esperienza di bellezza e di compimento. Ed è proprio questo abbrivio, questa ricerca di felicità che un educatore deve custodire perché il discepolo (il giovane sportivo) possa compiere il percorso della ricerca dalla bellezza che attrae alla Bellezza che compie. Luoghi che insegnano sport in questo modo, magari implicitamente, esistono, ne conosciamo molti in tutta Italia. E non solo in ambito dilettantistico, ma anche dove forti implicazioni economiche rendono la sfida ancora più impegnativa.
Crescono uomini, quindi sportivi, liberi. Abbracciandoli per quello che veramente sono li liberano dal ricatto del risultato, dall’’illusione che la riuscita sportiva (o economica) sia la riposta alla loro domanda di felicità. E quindi dalla tentazione di cercare scorciatoie al risultato (doping) o alla ricchezza (scommesse). Da questi luoghi lo sport può ripartire nella sua essenza di “desiderio di paradiso” poiché indicano la strada per evitare l’assoggettamento dello sport “alla cupa serietà del denaro”. Allora vale l’intuizione di Dostoevskij : “Il mondo sarà salvato dalla bellezza”, anche quello dello sport.