Sono molti i giocatori che, passando da Brescia, si sono guadagnati il palcoscenico che spetta ai campioni. Il merito è senza dubbio di un progetto molto ambizioso che, nonostante le non illimitate risorse finanziarie del club lombardo, riesce a contagiare i giovani giocatori che si affacciano al grande calcio. Il Brescia non ha un palmarès che può competere con altre realtà, ma – come spesso accade – la differenza la fanno i rapporti umani. A Brescia possono trovare qualcuno che li incontra prima come persone, li fa crescere come uomini e poi li fa debuttare.
Parte attiva di un modello all’avanguardia e studiato da altre squadre è Leonardo Mantovani, un avvocato romano, da otto anni dirigente del Brescia Calcio. Mantovani è arrivato a Brescia nell’anno in cui la Leonessa d’Italia accolse fra i suoi beniamini Roberto Baggio. Mantovani e Maurizio Micheli (ha scovato Hamsik, oggi è direttore sportivo del Brescia) lavoravano all’Udinese (in questo modo si spiega anche l’asse con Napoli e con Marino, al tempo ds dei friulani) prima di approdare alla corte del presidente Gino Corioni. All’Udinese hanno messo a frutto gli insegnamenti carpiti negli anni Novanta dagli olandesi, dagli inglesi e dai tedeschi, che già da tempo si muovevano sul mercato africano. Non c’erano i voli low cost, ma per risparmiare si utilizzava il Sunday rule e si cercava di vedere più partite possibili in una settimana.
«Queste esperienze – sottolinea l’avvocato Mantovani – ci hanno permesso di costruire un nostro modus operandi. Abbiamo incontrato, quando ancora internet era lontano, club come il Manchester, l’Arsenal e l’Ajax che erano già attivi sul fronte africano». Un modus operandi che in Italia ha fatto e continua fare scuola. Paolo Piani, direttore responsabile del Centro studi di Coverciano, può confermare che la tesi di Mantovani, fra quelle per diventare direttore sportivo, è la più richiesta. Non sono semplici osservatori che visionano una gara e poi vanno a riferire le impressioni in società, sono dei dirigenti con capacità di spesa che dopo un accurato studio vanno in loco, osservano il giocatore, parlano con il club e soprattutto con la famiglia, avviano le procedure burocratiche e tornano con un contratto firmato. A Brescia Mantovani, Micheli e Marcello Marini hanno sviluppato, in totale collaborazione con il ds Gianluca Nani (oggi al West Ham) il progetto di scouting che in questi anni ha permesso alle rondinelle di lanciare molti campioni: Martinez, Hamsik, Caracciolo (pescato dalla serie C italiana), Zambrella, Santacroce e Mannini, solo per citarne alcuni. La lista (davvero lunga) si potrebbe allungare con altri giocatori pronti a fare il salto di qualità, fra questi spicca il nome del tedesco, di origini ugandesi, Savio.
Alla base c’è una ricerca delle partite che possono interessare: i tre dirigenti fanno una sorta di calendario e muniti di ben cinque antenne paraboliche sono in grado di coprire ogni evento sportivo sul globo. «Il nostro compito è quello di anticipare i tempi rispetto ad altre squadre, soprattutto europee. Abbiamo un solo elemento per competere con gli altri club: i rapporti personali con i genitori e il giocatore. Savio, ad esempio, quando è arrivato qui da noi poteva benissimo finire anche al Chelsea e al Manchester, pensa che gli abbiamo cambiato due volte il telefono perché lo tartassavano». Avranno proposto anche ben altre cifre, ma… «Gli abbiamo fornito un contratto da professionista, ma soprattutto quando ho parlato con la madre (il padre è morto, ndr) nella sua casa di Monaco le ho garantito che se il figlio avesse dimostrato il suo valore, gli avremmo dato la possibilità di bruciare le tappe». Questo è quello che voleva, questo è quello che è successo. «La madre ci ha chiesto di stare vicino al ragazzo e di crescerlo come uomo». Contano molto i rapporti che si creano. «Al di là del ruolo che non ammette intermediari, la nostra forza è data dal carattere, dalle capacità dei singoli: siamo tre persone che collaborano appoggiandosi a un progetto». Dvd su dvd. L’ufficio di Mantovani è pieno di registrazioni catalogate per partita o per giocatore. Grazie a una collaborazione con la Digital Soccer vengono realizzati dei filmati ad hoc sui singoli giocatori. Certo molti club lo fanno già per analizzare di volta in volta la compagine avversaria, ma pochi lo fanno per scovare talenti. A Brescia ci riescono bene e lo dimostrano tutti gli affari messi a segno. «Oggi tutti i club avrebbero bisogno di un gruppo come il nostro». A Brescia c’è anche la giusta tranquillità per poter far emergere i giovani. In Italia i grandi club, come testimoniano le scelte di mercato, puntano quasi sempre sui giocatori affermati, in Europa ci sono società più lungimiranti.
«Il sogno è quello far diventare il Brescia un piccolo Arsenal». I ragazzi vengono sistemati con un contratto professionistico in un agriturismo a conduzione famigliare a Montirone (una località alle porte della città). Attualmente sono in venti (di cui 12 stranieri): sono seguiti e sono accompagnati a scuola e al campo di allenamento. Pantaleo Corvino dice che gli bastano 15’ per valutare un giocatore, ma con il calcio odierno con più partite in una settimana il rendimento può risentirne e allora è meglio saper valutare tutte le condizioni in gioco. C’è in buona sostanza uno studio a monte, una capacità di intuizione. Poi in alcuni casi si devono registrare anche delle coincidenze, come quella volta con Mareco. «Mareco è qui da noi perché Maurizio (Micheli, ndr) andò a vederlo in Sudamerica. Era l’11 settembre del 2001: riuscì a prendere il volo prima del blocco delle rotte internazionali per la tragedia delle Torri Gemelle. Così l’evento infausto fece in modo che a vedere il difensore c’erano forse tre osservatori». In questo caso l’affare si concluse subito, in altri fu determinante la questione economica. «Selezioniamo Kakà, facciamo vedere le cassette anche a un entusiasta Mazzone e partiamo per San Paolo. Lì intavoliamo la trattativa con il padre-procuratore e tutto sembra andare per il verso giusto». Poi? «Si dovevano rinnovare le cariche societarie e il presidente del San Paolo ci dice che avendo già venduto l’attaccante Franca al Bayer Leverkusen non può vendere anche un giovane emergente come Kakà. Avrebbe potuto giustificare la cessione solo con una cifra importante, ma a quel punto l’investimento era fuori dalla portata del Brescia». E così, ad accordi praticamente fatti, il giovane brasiliano finì al Milan. Il primo giocatore ad essere selezionato in Italia da Mantovani fu Appiah (in questi giorni in prova al Tottenham), che approdò all’Udinese. Il forte centrale ghanese, scartato dal Galatasaray, arrivò a diciassette anni in Italia e dimostrò il suo valore. Il rapporto creatosi con Mantovani lo portò anche a Brescia, dopo che l’epatite aveva rischiato di compromettergli la carriera. Lo stesso Mantovani lo seguì a Chicago per le cure del caso.
L’attività dell’avvocato romano inizia presto su è giù per l’Africa (suo l’apporto decisivo nella firma di Dossena con il Ghana). In precedenza ha avuto il merito di portare – come primo grande colpo – Mahamadou Diarra (oggi centrale del Real Madrid) all’Ofi Creta, allora allenata dall’olandese Gerard. «Avevamo acquistato il fratello che ci disse “guardate che mio fratello è più forte”. Prendemmo così anche il fratello, che l’anno successivo si conquistò le attenzioni del Milan. Il tecnico olandese favorì, però, il Vitesse come destinazione del centrocampista del Mali». Il progetto Brescia guarda già avanti, pronto a fare un ulteriore salto di qualità, «anche perché molte squadre incominciano a imitarci». Per il momento altri si affacciano sul palcoscenico. Il prossimo nome da annotare sul taccuino è il polacco Salomon, centrocampista centrale (classe 1991, 1,90 di altezza), «un giocatore molto intelligente e dalla spiccata personalità. Dotato tecnicamente, molto bravo nel ragionare e nelle geometrie». Attenzione anche al laterale svizzero Berardi, che da attaccante si è trasformato in difensore fluidificante, guadagnandosi la fiducia di mister Sonetti. Il pubblico è pronto ad applaudirli.
(Luciano Zanardini)