Nino Benvenuti è il più grande pugile della storia della boxe italiana. E’ stato campione olimpico nei pesi welter alle Olimpiadi di Roma 1960, dove ha conquistato la prestigiosa Coppa van Barker, destinata al pugile migliore di quella manifestazione, soffiandola nientemeno che a Cassius Clay. Poi è stato campione del mondo dei superwelters e dei pesi medi. Memorabili i suoi incontri con Mazzinghi, Griffith e Monzon. Il primo dei tre incontri disputati con Griffith per il titolo non fu trasmesso dalla Rai e quel match leggendario del 17 aprile 1967 incollò alla radio 16 milioni di italiani. Eccolo in questa intervista in esclusiva a ilsussidiario.net
Benvenuti, come sta il momento del pugilato?
E’ un momento di stand by. Un momento in cui la boxe sta facendo fatica a trovare i suoi spazi.
Mancano forse i grandi pugili, sono loro che fanno grande la boxe?
Direi proprio di sì, questo è uno sport fatto di grandi personaggi. Uomini come Cassius Clay hanno creato qualcosa di grande attorno alla boxe, con il carisma e l’unicità che hanno fatto parte della loro persona. Tyson stesso è stato un personaggio, uno che faceva ruotare attorno a sé l’attenzione dei media. Due pugili diversi. Il primo era dotato di un’intelligenza incredibile fuori e dentro il ring. Tyson invece era un vero guerriero. Adesso mancano personaggi di quel calibro.
Il più forte attualmente al mondo è il filippino Pacquiao?
Direi di sì, è un grandissimo. Un vero campione con dieci titoli mondiali conquistati in otto categorie differenti. Un pugile straordinario che non ha molta concorrenza.
E il più forte pugile italiano attualmente chi è?
Sinceramente non saprei chi dire. E’ un momento difficile, in cui stiamo facendo molta fatica nel pugilato in Italia. Forse bisognerebbe investire di più sui giovani, andare a cercare il campione del futuro con una politica ben precisa.
Il più grande di tutti i tempi invece chi è?
Sicuramente Clay. Ha fatto dei suoi incontri un’esaltazione della tecnica pugilistica. Sapeva boxare come un vero artista e poi, come detto, ha saputo crearsi un personaggio. Era uno che faceva scrivere i giornali ed appassionare la gente.
Ci può raccontare qualche aneddotto della sua carriera?
Quando andai a combattere per la prima volta in America contro Griffith riuscii a mantenere la calma, ad affrontare il match per il titolo mondiale, sicuro dei miei mezzi, delle mie possibilità contro un pugile così forte, anche se la stampa americana mi diceva che non avevo nessuna possibilità di vincere.
L’Olimpiade di Roma è stata indimenticabile…
Sì, la vittoria più bella per me. Una medaglia d’oro vale più di tanti titoli mondiali. E poi in quella manifestazione ho vinto anche il premio come miglior pugile del torneo, superando anche Cassius Clay.
Il ricordo più bello?
L’incontro con Griffith memorabile. Memorabile anche per i milioni di italiani che seguirono alla radio quell’incontro la notte del 17 aprile 1967. Ancora adesso c’è chi mi ferma e mi ricorda quel match così importante della mia carriera.
Gli incontri con Mazzinghi, Griffith e Monzon, com’erano questi personaggi?
Mazzinghi era un personaggio cupo. E’ rimasto cos’ anche adesso. Ho cercato di riannodare i rapporti con lui senza riuscirci. Griffith fa parte della mia vita di pugile e di uomo. Tre incontri che hanno fatto la storia del pugilato e poi un’amicizia che è nata dopo le sfide, che è continuata fuori dal ring. Ho fatto tanto per lui quando si è trovato in difficoltà, devo dire che per me Griffith è come un fratello. Monzon infine ha avuto una vita difficile, drammatica, piena di problemi culminati con il carcere. Ero anche stato a trovarlo, purtroppo poi quando era in semilibertà morì in un incidente d’auto.
Boxe sport violento o “Noble art”?
Non capisco i detrattori della boxe. Il pugilato è lezione di vita, fa crescere, ti dà delle regole, ti fa rispettare il tuo avversario. Alla fine i due contendenti si stringono la mano come è successo a me con Griffith. La boxe è senza dubbio la “Noble art”.
Secondo lei perché la boxe un tempo riempiva gli stadi, faceva grandi audience in tv e alla radio e adesso sembra uno sport un po’ in difficoltà? Cos’è cambiato?
Sono cambiati i tempi e poi il pugilato, come dicevamo, è fatto di grandi personaggi che oggi non ci sono. Forse oggi gli interpreti di questa disciplina non vivono il pugilato nel modo giusto, allettati più dal denaro facili che dalla voglia di una carriera importante.
Cosa consiglia ai ragazzi che vogliono intraprendere questo sport. La palestra, lo stesso pugilato è lezione di vita?
Il pugilato è uno sport che comporta sacrificio e fatica, coraggio e disciplina. In questo senso il pugilato può diventare lezione di vita. Questo è l’atteggiamento che i ragazzi devono avere per interpretare la boxe nel modo giusto.
Cosa pensa del rapporto tra cinema e pugilato?
A volte è positivo, spesso purtroppo no, perché si enfatizza solo il lato violento di questo sport. Questo tipo di cinema non rappresenta l’anima del pugilato. Ci sono però delle eccezioni, citerei due film bellissime pellicole come “Questa sera ho vinto anch’io” e “Lassù qualcuno mi ama”.
Sta per essere girato un film “Hand of stone” sul campione panamense Roberto Duran, con Al Pacino…
Spero che sia un grande film, perché Roberto Duran è stato un grande pugile e trovo entusiasmenate l’idea di raccontarlo in un film.
Del pugilato femminile cosa pensa?
Perché no. Le donne ormai non si fermano più, arrivano a traguardi sempre nuovi. Sono diventate loro le protagoniste del mondo contemporaneo e in molti casi hanno più coraggio degli uomini. Non le è precluso più niente…
(Franco Vittadini)