L’emendamento all’articolo 64 del decreto 112, che prevede la possibilità di assolvere l’obbligo d’istruzione anche nel sistema della formazione professionale, fornisce la base giuridica per continuare l’esperienza dei percorsi sperimentali di istruzione e formazione professionale di cui all’art 1, comma 624 della legge 296/06. Si tratta di una scelta importante perché ribadisce la rilevanza di uno strumento educativo che si è dimostrato efficace nel prevenire la dispersione scolastica e nell’allargare le opzioni su cui i giovani adolescenti e le loro famiglie possono esercitare la loro libertà di scelta educativa. Tali percorsi, frequentati da oltre 140.000 ragazzi che hanno terminato il primo ciclo di studi, hanno mostrato che l’offerta di formazione iniziale che i vari soggetti del privato sociale italiano garantiscono è una risorsa preziosa per il Paese. Un’offerta che affonda le sue radici nelle esperienze del mondo cattolico, ma anche in quelle del mondo operaio.
Proprio l’efficacia di questo strumento porta ad alcune considerazioni.
La prima è legata alla necessità di superare la fase sperimentale, integrando questi percorsi nel quadro ordinamentale dei sistemi educativi, nell’alveo del previsto canale dell’istruzione e formazione professionale.
La seconda è legata alle risorse finanziarie: sinora questi percorsi sono stati sostenuti dalle Regioni, dal Ministero del Lavoro (circa 200Meuro) e dal Ministero della Pubblica Istruzione (40Meuro). Queste risorse, che peraltro non appaiono ancora certe (almeno per quanto concerne il Ministero della Pubblica Istruzione), sono insufficienti. La domanda è molto più ampia, e trattandosi di un diritto-dovere, dovrebbe essere garantita. Inoltre si tenga presente che l’obbligo a 16 anni comporta comunque l’onere relativo ai primi 2 anni successivi al primo ciclo di studi.
Dalle situazioni difficili come quella che stiamo attraversando si esce solo investendo sulle persone. Ma anche in contesti meno turbolenti è dimostrato che il prolungamento di un anno di istruzione e formazione genera incrementi del Pil che vanno da un minimo del 3 a un massimo dell’8 per cento.
La terza riflessione è legata a una considerazione più generale. Sono molti i giovani in Italia che abbandonano la scuola, e anche coloro che continuano a frequentarla manifestano spesso disagio e disinteresse. È un malessere profondo, una grave “emergenza educativa” a cui nessuno può restare insensibile. Ciascuno di noi – così come anche le istituzioni – deve battersi perchè nessuno si perda; non è solo una questione economica, ma una battaglia di civiltà, una concezione amica dell’uomo e del suo destino.
Siamo certi che queste considerazioni non sfuggono ai nostri governanti e che essi sapranno sostenere la speranza educativa così come quella lavorativa del nostro popolo e soprattutto dei nostri giovani. Un sostegno intelligente che parte dal valorizzare quello che c’è di buono secondo quel principio di sussidiarietà che solo può portarci a nuove strade sulla via dello sviluppo e sulla rivisitazione di una Welfare Society.
Saremo accanto al Ministro della Pubblica Istruzione in questa battaglia e siamo certi che anche Tremonti, nonostante le gravi difficoltà che deve affrontare, saprà prestare la dovuta attenzione a questi temi.
Comunque la libertà di educazione, non astrattamente affermata, ma perseguita con atti e risorse finanziarie, è uno dei banchi di prova più importanti di questo Governo, e su questo lo misureremo.