Non si parla di lui solo per i settantacinque anni dalla morte. Nel 1937 se ne andava una delle menti più acute del comunismo italiano, ma anche un pensatore scomodo per i “compagni” italiani e sovietici. Sulla rottura tra Antonio Gramsci e Palmiro Togliatti esiste un’ampia bibliografia. Ma è l’idea di una costituente, e della politica come lotta per l’egemonia, a rendere attuale il pensiero di Gramsci in anni nei quali il consenso, tema cardine della democrazia, appare problematico, minacciato dall’astensione, dalla delegittimazione e dal populismo.
Giuseppe Vacca, filosofo del diritto, storico e presidente della Fondazione Gramsci, ne ha parlato nel suo ultimo libro dedicato a Vita e pensieri di Antonio Gramsci (1926-1937). Da mesi sui giornali escono articoli sul fondatore del Partito comunista italiano. Non ne va solamente di una delle più importanti culture politiche del dopoguerra, che, come ha detto D’Alema in occasione della presentazione del volume di Vacca la settimana scorsa nella Biblioteca del Senato, si tenta oggi di delegittimare. Antonio Gramsci, infatti, oggi sfida anche i filologi. Il presidente della Fondazione Gramsci, infatti, ha accolto la richiesta, avanzata pubblicamente sulle pagine del Corriere da Franco Lo Piparo, di istituire un gruppo di lavoro che studi nuovamente gli originali dei Quaderni del carcere. Motivo? Esaminare da vicino le discordanze tra le tre successive numerazioni dei Quaderni, condotte da persone diverse in tempi diversi, che porterebbero alla “sparizione” di uno dei fascicoli, il XXXIII. Sullo sfondo potrebbero esserci ancora i rapporti tra l’eminenza grigia del comunismo italiano e il suo riconosciuto leader politico, quel Palmiro Togliatti in ottimi rapporti con Mosca (e Stalin).
Giuseppe Vacca, dunque la commissione di studio si farà.
Certamente. L’ho annunciato nel corso della presentazione del mio libro nella Biblioteca Spadolini del Senato. Ho accolto la richiesta di Lo Piparo e il gruppo di lavoro sarà presieduto da Gianni Francioni, massimo esperto di filologia dei Quaderni dal carcere e anche responsabile della nuova edizione critica integrale dei Quaderni. Il gruppo di lavoro, di cui Lo Piparo farà naturalmente parte, potrà accedere agli originali e verificare i problemi e le ipotesi che Lo Piparo ha fatto a proposito delle irregolarità, reali o presunte, nella loro numerazione originaria.
Secondo Lo Piparo potrebbe mancare un Quaderno. Per ragioni prettamente politiche…
Stando a Lo Piparo, potrebbe essere stato soppresso dal primo editore di Gramsci, cioè Togliatti, per eliminare evidenze troppo eclatanti dell’eterodossia di Gramsci verso lo stalinismo.
La Fondazione da lei presieduta non ha fatto difficoltà?
Perché avrebbe dovuto? Va fatta una precisazione. Gli originali dei Quaderni sono custoditi nella cassaforte di una banca e non sono offerti alla consultazione ordinaria per ovvi motivi di conservazione. Occorre anche dire che fin dagli anni 60 e 70, quando Valentino Gerratana, per conto dell’Istituto Gramsci insieme ad un’équipe di studiosi, lavorò alla prima edizione critica che uscì per Einaudi nel 1975, i Quaderni sono disponibili in riproduzione anastatica. Infine, dei Quaderni esiste una riproduzione digitale usata comunemente da chi vuole consultarli. Ma non è stato mai negato agli specialisti l’accesso agli originali.
Lei che cosa si attende da questa nuova indagine?
Non sono un filologo dei Quaderni, ma per quello che conosco dei medesimi, dei carteggi e della vita di Gramsci non ho mai riscontrato ombre di lacune o di distonie nella topografia dei Quaderni così come essi sono giunti fino a noi.
Vuole ricordarne brevemente la storia?
Quando dico: come sono giunti a noi, intendo dire da quando sono stati editi. Perché quel materiale venne preso da Tatiana (Tatiana Schucht, cognata di Gramsci, ndr), portato in Russia alla fine del ’38, messo a disposizione della famiglia, e poi della prima équipe di studiosi che si occupò della classificazione e della pubblicazione già a Mosca nel 1940-41. Per parte mia, ripeto, non ho rilevato inconguenze che siano sintomo di mancanze.
L’ipotesi di Lo Piparo si basa su incongruenze nell’etichettatura.
Ci sono state due etichettature da parte di Tatiana, una subito e l’altra via via che lei procedeva a fare una specie di regesto. Poi ve n’è stata una terza, quando i quaderni sono passati nelle mani dei primi studiosi. Lo Piparo ritiene di avere rilevato delle discrepanze. Vedremo.
Qual è la sua lettura delle divergenze tra Togliatti e Gramsci?
Su questo tema c’è una letteratura ampia e accurata. Nel corso del ’26, quando Togliatti è a Mosca in rappresentanza del partito comunista italiano nell’esecutivo dell’Internazionale e Gramsci è a Roma prima dell’arresto, tra i due si produce una differenziazione di analisi e di strategie, che porta Gramsci alla famosa lettera del 14 ottobre 1926 al comitato centrale del partito comunista russo, nella quale si trova non una rottura “voluta”, ma una scelta ideologica che metteva Gramsci in una posizione inidonea per un leader di un partito comunista.
Perché?
Perché i giudizi che conteneva erano di inadeguatezza di tutte le fazioni in campo. Vi state imbozzolando in un nazionalismo russo: una prospettiva inadeguata al riscatto del proletariato mondiale − era, nella sostanza, la critica di Gramsci. La sua posizione portò ad una rottura che non si consumò formalmente in quanto poco dopo Gramsci venne arrestato. Togliatti criticò nel merito la lettera di Gramsci, che gli rispose a titolo personale respingendone gli argomenti. Quando Gramsci andò in carcere, l’8 novembre 1926, la divaricazione strategica si era consumata, ma si approfondì molto di più dopo il 1929, quando l’Internazionale comunista impose ai comunisti italiani, che continuavano a perseguire la strategia del ’26 della transizione democratica, degli obiettivi intermedi e della rivoluzione popolare antifascista, di cambiare radicalmente linea e di allinearsi alle direttive dell’Internazionale.
Allora che cosa accadde?
Il pc italiano prima resistette, poi dovette accettare la disciplina. Dal gennaio del ’30 Togliatti iniziò ad applicare con zelo quella direttiva. Gramsci, allora in carcere a Turi, non era d’accordo e questo volle dire per lui un biennio di ulteriore isolamento. Tuttavia sapeva che le decisioni politiche delicate riguardanti la sua vita carceraria erano prese in ultima istanza dal vertice del partito, impersonato da Togliatti, nel quale fino al ’35 Gramsci ripose la sua fiducia. Dopo il ’35 invece Gramsci dichiarò di sapere che probabilmente il Comintern, o lo stesso governo sovietico, o il partito comunista italiano avevano deciso di sacrificarlo; a quel punto, si rassegnò e sul proprio futuro non nutrì più illusioni.
E qui torniamo ai Quaderni.
Quando, date le sue gravi condizioni di salute, Gramsci passò al regime di libertà condizionata, diede disposizione alla cognata Tatiana di portare via dalla clinica i suoi quaderni un po’ alla volta, per non rischiare di farseli sottrarre, e di inviarli a sua moglie Giulia a Mosca. Il suo progetto, infatti, era quello di ottenere l’espatrio, di ricongiungersi alla famiglia e di lavorare ai quaderni una volta a Mosca, con l’aiuto di Sraffa.
Lei nel suo libro insiste molto sull’importanza della proposta gramsciana di una Costituente. Perché?
Perché contiene una idea generale della politica, per cui nella modernità compiuta, sia che si combatta in una situazione di regime totalitario e quindi, come nell’Italia fascista, in condizioni persecutorie e di clandestinità, sia che si combatta invece in una condizione più aperta, la lotta politica è come tale lotta per l’egemonia, cioè per l’orientamento di masse che sono già interne al mercato politico. Questo può richiedere una tattica di convergenza, per quanto temporanea, con altre forze; facendo della politica democratica il contento e al tempo stesso l’orizzonte della lotta politica. È questo il pensiero maturo di Gramsci, almeno dal 1932 in poi.