I risultati degli studenti italiani quindicenni nei test dell’Ocse-Pisa relativi alla matematica, che avevano la caratteristica di non essere “tecnici”, ma di richiedere una certa dose di buon senso e di orientamento in un contesto misto, in parte quotidiano e in parte specifico non sono stati esaltanti negli ultimi anni.
Come al solito in Italia si cerca di ricorre ai ripari cercando di curare i sintomi, senza andare a fondo delle cause.
Così si è ritenuto che la matematica (e più recentemente nelle scuole superiori anche la fisica) dovesse essere “contestualizzata”, per superare una pretesa astrazione. Così nella seconda prova di maturità dello scientifico (matematica) un anno si parte dalla bolletta telefonica, un altro dal problema del serbatoio di gasolio di un condominio.
Sullo sfondo di questo cambiamento sta anche la questione delle competenze. Secondo una certa tendenza pedagogica si deve insegnare per “competenze”: ciò che conta è la capacità di affronto di problemi concreti, i contenuti disciplinari non hanno valore in sé ma come strumenti.
Dov’è la confusione? Il credere che la matematica sia astratta, non abbia una sua realtà, per cui è necessario applicarla a qualcosa di concreto. Al contrario, come ha scritto di recente Marco Bramanti, “Gli oggetti astratti della matematica non solo ‘c’entrano con la realtà’, ma sono ‘realtà’, pur non essendo oggetti fisici. Credo che se non si arriva ad essere convinti di questo, la stima nella matematica come forma di conoscenza e come attività umana degna delle nostre energie non può essere compiuta, è minata alla radice. A sua volta, la rivendicazione della realtà delle astrazioni matematiche è possibile solo se ci si riappropria con orgoglio della stima per quella meravigliosa capacità della persona che è l’astrazione in quanto tale. Ecco perché ritengo opportuno intervenire con questo Elogio dell’astrazione. Desidero anzitutto convincere il lettore della seguente tesi: di tutte le cose che per noi esseri umani sono reali e importanti, molte sono astratte” (Marco Bramanti, Elogio dell’astrazione, Emmeciquadro n. 49).
Quindi la matematica richiede innanzitutto l’acquisizione di una familiarità con strumenti e modelli che non solo hanno una consistenza logica di per sé, ma, in qualche modo costituiscono una “realtà”, che almeno in fase di apprendimento non richiede il riferimento ad un altro ambito, ritenuto più reale.
Ciò sembra confermato dagli ultimi test dell’Ocse-Pisa, in cui, sorprendentemente per molti pedagogisti, gli studenti che hanno ricevuto un insegnamento di matematica “pura” hanno nettamente sopravanzato quelli che hanno ricevuto un insegnamento di matematica “applicata”.
Forse allora la conclusione è una sola: bisogna insegnare bene la matematica come tale, senza fronzoli, e con un certo rigore, anche nei confronti degli allievi: solo così si creano le premesse perché gli allievi possano sviluppare “competenze” cioè la capacità di usare i concetti matematici come strumenti per la soluzione di problemi anche complessi.