Il 23 giugno 2009, alle ore 13.40, il nostro ultimo figlio Andrea, di undici anni, è morto in un incidente stradale: travolto da un camion mentre si trovava con la sua bicicletta, che gli avevo regalato solo due giorni prima, su una pista ciclabile vicino a casa nostra.
Così, in un istante, è stata messa alla prova la nostra vita e la nostra speranza.
Perché i figli sono la cosa più cara che abbiamo.
Sono passati quattro anni dolorosi, a volte durissimi, ma mai disperati perché pieni di una non ordinaria intensità, un tempo nuovo in cui possiamo umilmente dire che ha iniziato ad avverarsi quello che ci era stato “promesso” il giorno del funerale: “Sembra la fine di tutto, ma è l’inizio di una vita nuova per lui e per voi”.
Non siamo fuggiti alla domanda decisiva ed alla ferita che ci portiamo: “Cosa è veramente accaduto ad Andrea?, lo rivedremo?”
Alzarsi la mattina mendicando la risposta “vera” a questa domanda ha introdotto la questione sulla verità di Cristo, sulla sua morte, ma soprattutto sulla sua Risurrezione ed ha reso possibile a noi continuare a vivere.
La morte di Andrea ha messo alla prova la nostra certezza nella resurrezione di Cristo, l’unico nella cui umanità Dio ha provato questa morte umana e l’ha vinta!
Ma come è possibile per noi credere che Cristo ha veramente vinto la morte? Possiamo crederlo perché abbiamo visto rinascere la vita. Ripeto, noi l’abbiamo visto come evidenza definitiva, dal cambiamento della vita nostra e di quella di molte altre persone: sorprendendoci nel vedere ridiventare positivo ogni istante, ogni contraddizione, persino il nostro limite, fino a renderci “cara” la ferita che portiamo.
Così oggi Andrea ci introduce alla domanda sulla verità di Cristo ed in modo istantaneo, indissolubile e coincidente, alla domanda circa la verità della Chiesa. Siamo così provocati continuamente ad appartenere ad essa, con tutta l’affezione, la ragione e la libertà di cui siamo capaci. Senza questo lavoro personale, rimanere nella compagnia della Chiesa non è molto diverso dall’andarsene scandalizzati per gli inevitabili limiti nostri o altrui.
Questa nostra ferita è divenuta nel tempo, sorprendentemente, dimora e fattore di speranza per molti altri uomini, trasformando letteralmente la nostra vita, e legandola a quella di altri in modo definitivo.
Le infradito blu, il libro presentato in occasione di questo Meeting di Rimini, è il diario di alcuni degli incontri semplici e grandiosi insieme, accaduti da allora, descritti senza commento, così come si sono impressi nella memoria, fatti che rendono a noi possibile la fede, ed “affidabile” la nostra speranza oggi.
Ma non descrive un passato! L’inizio di questa vita “nuova” continua sorprendentemente anche oggi, in modo assolutamente misterioso e con strade che noi neanche immagineremmo. Così, noi per primi, siamo costretti a riconoscere che Andrea è certamente più presente e più determinante la vita nostra e di molte altre persone ora, che non prima.
La certezza che la sua vita è stata immersa di schianto nella Risurrezione di Cristo è l’unica risposta adeguata a quello che il nostro cuore desidera e l’unica ipotesi ragionevole per comprendere quello che abbiamo visto.
Vogliamo esserne degni.
(Felice Achilli)