La vita è un disorientante fascio di propensioni. Non c’è distanza più lontana dell’amare. Non c’è lontananza più prossima dell’amare. Amare umorale; amare notarile; amare infantile, come puer aeternus – e come amare altrimenti? La debolezza è sovrana, in amore: se ami, cedi le armi. Sei di un altro. Vuoi essere di un altro. Brami essere di un altro. Altro non vuoi e non desideri; senza quel con-tatto non c’è neppure comunione col creato, sei soltanto quel che devi essere: totalizzante. “Tu mi hai sorpreso, fragile”. Mi hai sorpreso, come hai fatto? Dove sei stata fino ad oggi? Qual è stata la tua propensione di creatura attorniata da altra vita, non mia, perché, se è tua, diventerà la mia, Madonna del mio cuore. Ecco le mie propensioni, te le dichiaro, sono fragile e tale voglio essere, permettimi di esserlo: “Sarà il momento giusto-sarà la voglia che ho di te”. Et voilà! Sono tuo, tutto tuo, non farmi male, perché di te e solo di te ho bisogno, fragile e indifeso puer. Una canzone che disegna un percorso nella terra della lontananza. “La lontananza, sai, è come il vento2 – cantava Modugno, alcuni decenni fa. L’età adulta ferisce radicalmente questa bellezza dell’invasione dell’A/altro dentro me, vuole sempre imporre il controllo del territorio; niente da fare, così non è non sarà mai, è solo la sorpresa a dominare: “Non ti aspettavo, oh no; non ti pensavo più”. Ecco il punto del verbo che transita nell’amore, è solo il Verbo: “Non”, perché è tutto sorpresa e conato di infinito. Niente è imperativo categorico: “Avevo già deciso, dimenticarti”. Ma Tu sei ritornata e la propensione ad esser-ci con te e per te è ritornata, cosa posso farci? Un altro indizio nel percorso. “Ma adesso è anche tardi per spiegare; sarebbe come non respirare; sarebbe come rispondere a chi non sa cosa chiedere”. Non c’è cosa più irragionevole che rispondere ad una domanda che non si pone e mai si porrà. “Come fosse uno scherzo del destino”: “come se”, Als Ob, la filosofia non può predicare niente di importante, ora, perché fare una vera esperienza è accorgersi di essere cresciuto – DOPO. Non devi temere la resa e l’impotenza, è necessità di vita, per la vita; la vita non è buona, è immensa, grande, insaziabile fornace di desideri: “OGGI sei solo meglio di ieri”. E’ semplice: “solo”. Non c’è altro da aggiungere. OGGI, qui e ora, Tu sei “solo” meglio di ieri, propendo completamente per quel genio della lampada sghemba del vivere, che mi permette – OGGI! – di averti preziosamente distante e altra da me. Speranza che non cede mai il passo: “Tu sei OGGI più vicino di ieri”. OGGI sei mia, “come dentro ad una nuvola di fumo”, con lo zenith esotico rivolto ad est di un desiderio mai compiuto, è la sacra incompiuta della vita, tutto qua. Non c’è logica, basta il vivere selvatico che recide ogni rimorso alla radice; non c’è colpa e non c’è senso di colpa, no, non sei colpevole, piccola mia, sei e basta: “Tu sei QUI più vicino di ieri”. Si chiude il cerchio? C’è levità in questo passaggio. L’evidenza, dunque, strappa calore alla vita algida dei soliti ardori, finti, salmastri, ingoiati a voraci bocconi dai benpensanti. Chi ama è al di là del bene e del male. L’imprevisto è la sola speranza e c’è sempre chi congiura contro la più fragile delle virtù, la mia, la tua, amore mio, la nostra: non è cantare, è sognare lucidamente di Altro. L’estraneità col mondo è palpabile: “Mentre io guardo FUORI la gente”. Là FUORI c’è il resto del niente, il mondano rifiuto dell’Altro e, insieme ad esso, di altro, per vivere imbrattati di felicità. Parola che trama e congiura contro gli avvoltoi avvitati attorno alle viti delle vite altrui: tutto si darà, fra corpi e divino mutante, e tutto sarà quel che dovrà essere. Al di là del bene e del male.