Chi è o chi è stato Giovanni Pennacchio? Pochissimi storici della musica saprebbero rispondere a questa domanda. Infatti, anche Wikipedia gli dedica solo poche righe. Ha composto due opere ed un’operetta, nonché alcune sinfonie e molta musica strumentale, vocale e per banda.
Un libro uscito in giugno (Paola Chillemi Giovanni Pennacchio, La vita di un compositore all’ombra di Leoncavallo con l’analisi della produzione musicale a cura di Riccardo Viagrande – pp,366 € 20 Zecchini Editore) ripropone questo personaggio minore della storia della musica italiana che visse un secolo intero (Napoli 1878 – Messina 1978) a quarant’anni della sua morte. Pennacchio visse non solo all’ombra di Leoncavallo, ma anche di Cilea, Respighi, Longo e tanti altri poiché al suo ruolo ufficiale di direttore di bande reggimentali e di riorganizzatore delle bande dell’esercito ed ai suoi tentativi (riusciti solamente in patte) di essere un compositore di successo, Pennacchio è stato per decenni e decenni un maestro collaboratore di compositori grandi e piccoli.
La funzione del maestro collaboratore è umile, spesso poco considerata ma importantissima: è lui che prepara le orchestre a concerti ed opere liriche, che dirige gran parte delle prove, che li prepara alle esecuzioni, che lavora con strumentisti e cantanti, che ne conosce gli intimi pensieri (al pari di quanto conosce quelli dei Maestri, con la ‘M’ maiuscola. Pennacchio a vissuto un secolo, risiedendo (e lavorando) a Napoli, a Ravenna, a Milano, di nuovo a Napoli , di nuovo a Firenze. A Catania, a Palermo, di nuovo a Catania (per un lunghissimo soggiorno) ed infine a Taormina, Senigallia e Messina.
In questa lunga vita, iniziata con il verismo ed il ‘grand opéra padano’ e giunta a ‘Canzonissima’ che lui detestava) è stato in stretto contatto con tutte le tendenze ed i protagonisti della musica italiana. La sua biografia (la prima parte del ricco volume) permette, quindi, di vedere cento anni di storia della musica italiana non dal piano nobile, o dall’archivio di un paludato conservatorio, ma del mezzanino. Così come studiando un albero in dettaglio, si apprende su una foresta molto di più che da una fotografia area di un bosco, la storia di un secolo di musica italiana è , al tempo stesso, più intima e più saporita se vista attraverso le vicende umane e professionali di Giovanni Pennacchio.
Particolarmente interessante la parte (oltre cento pagine) dedicata al suo secondo soggiorno a Catania negli anni dal fascismo alla Repubblica, dove diresse bande, compose molto, organizzò stagioni estive, condusse cori ed ebbe una delle sue opere rappresentate. Oggi Catania è assorbita nella crisi profonda che travaglia il Mezzogiorno, ma allora era una città vibrante, florida ed intellettualmente vivacissima. Era la città al cui Teatro Massimo Bellini (il teatro italiano con la migliore acustica prima che una sconsiderata ristrutturazione coprisse con una moquette il parqué) cantava Dame Joan Sutherland, alla cui elegante Pasticceria Savia si incontrava Vitaliano Brancati, dove su Via Etnea si incrociava Ercole Patti e si andava prendere una granita da Caviezel per parlare di musica e di cinema.