Scott Weiland è morto ieri. Devo ammettere che non mi sorprende. Ma in un modo diverso da quando muore una celebrità, oggi sono triste.
C’è stato un periodo della mia vita – diversi anni, quando frequentavo le superiori fino al primo anno di università – in cui consideravo gli Stone Temple Pilots uno dei miei tre o quattro gruppi preferiti al mondo. Erano una delle band in grado di farmi capire il potere mistico del suono registrato in un disco, uno di una manciata di gruppi in grado di mostrarmi quanto profondità c’è nella vita, quante cose complicate ci sono al mondo dandomi un significato tutto per me. Succede quando queste cose vengono trattate con questa forma d’arte, la musica rock. La maggior parte degli amanti della musica per il resto della vita continua a chiamare artisti coloro che da giovani li hanno colpiti in questo modo.
Gli storici della musica pop non hanno generalmente mantenuto per questa band una grande quantità di affetto. Per lungo tempo, Scott Weiland è stato visto come il primo di una lunga serie di imitatori di Eddie Vedder (non un insulto da poco visto che in molti ambienti, la giuria rimane divisa su quanto noi come società abbiamo bisogno dell’originale Eddie Vedder) e in senso più ampio molti hanno considerato gli Stone Temple Pilots uno dei tanti gruppi rock alternativi intercambiabili nati sulla scia di una moda culturale sbiadita nell’irrilevanza dopo pochi anni, il grunge.
Tuttavia, mentre non ho tenuto il passo con i progetti successivi agli Stone Temple Pilots di Scott Weiland (ad eccezione di un album natalizio che ha pubblicato nel 2011, che non potevo non comprare), la musica originale degli STP la sento ancora viva dopo tutti questi anni – armonicamente ricca, esteticamente diversa, e più profonda del 95% dei gruppi di quel periodo. Nel momento in cui il mio impressionabile cervello da adolescente carico di ormoni poteva farsi catturare da qualunque schifezza che era disponibile sul mercato, sono contento sia successo per una band con un senso dell’umorismo che poteva diventare muscoloso o metallico come “Crackerman “, un hard rock venato di country come “Interstate Love Song”, ballate zuccherose come “And So I Know”, malinconia pop alla John Lennon come “Lady Picture Show”.
E’ passato molto tempo da quando gli STP erano tra i miei gruppi preferiti. Ma non è bugia dire che la stragrande maggioranza della mia esperienza come consumatore di musica nel corso degli anni è stata essenzialmente un vano tentativo di ritrovare questa sfuggente sensazione viscerale che ho avuto modo di ascoltare da questa band all’età di 13 anni – una sensazione che probabilmente non esiste più quando di anni ne hai 32 anni. Ma in un mondo dove le cose orribili accadono continuamente e la gente apparentemente cerca qualsiasi ragione per essere in contrasto uno con l’altro, sono felice di sapere che da qualche parte nel grande spetto delle esperienze umane esiste quella sensazione. Se ogni ragazzo avesse i propri STP con cui crescere, il mondo sarebbe un posto migliore.
(Kevin Davis)