Il Festival di Monaco ha una caratteristica che lo accomuna con il Festival delle Notti Bianche di San Pietroburgo: nelle ultime cinque settimane dell’anno, prima delle ferie estive, vengono riproposti gli spettacoli che hanno avuto maggior successo di critica e di pubblico. Quest’anno, il piatto forte è stata “L’Anello del Nibelungo”, ma vedere e ascoltare le quattro opere richiedeva un soggiorno di un’intera settimana nella capitale della Baviera. Quindi, avendo a disposizione tre giorni per tre opere, abbiamo scelto di recensire “Les contes de Hoffmann” di Jacques Offenbach perché poco nota in Italia (anche se negli ultimi dieci anni la si è vista a Roma, a Macerata ed alla Scala), ma è un lavoro inquietante ancor più che ambiguo che merita attenzione. E’ l’ultima composizione per la scena del maestro dell’operetta francese, che era diventato ricco e famoso grazie al successo di capolavori del teatro leggero (soffuso di satira politica e sociale) quali “Orphée aux Enfers” e “La belle Helène”. E’ anche la prima ed opera vera composta da Offenbach, rimasta mai completata a ragione della sua prematura morte. Più che incompiuta, “Les contes de Hoffmann” è stata lasciata in un’edizione ridotta, e in parte spuria, per le esigenze de l’Opéra Comique, dove un enorme successo in una versione che, con pochi adattamenti, è stata rappresentata sino alla metà degli Anni Settanta quando, ritrovati alcuni manoscritti, venne approntata l’edizione critica. Quest’ultima risultò di difficile, ove non impossibile, realizzazione scenica a ragione, se non altro, di quella che sarebbe stata la durata. Quindi, le produzioni (in teatro ed in disco) sono di norma varie contaminazioni delle versioni pubblicate dalla fine dell’Ottocento al 1934 con l’edizione critica del 1977. Non si tratta di un problema solo o principalmente filologico in quanto variano interi passaggi ed il peso relativo dei personaggi tanto che ad ogni edizione “Les contes” sembra un’opera nuova. Ma le chiavi di lettura cambiano in misura significativa. Mentre nelle versioni rappresentante sino alla fine degli Anni Settanta, “Les contes” aveva, nonostante il finale amaro, il tono di un’opera leggera, ove non quasi di un’operetta (almeno sino alla metà del secondo atto), l’edizione critica è apparsa drammatica, con passi cupi e temi demoniaci. Qualcosa di ben diverso, quindi, di un “piccolo Faust” da Terza Repubblica. Un lavoro è tanto più inquietante in quanto può essere presentato e compreso in modi molto differenti.
L’apologo di Hoffmann (pittore, poeta scrittore e musicista della Prussia della prima metà dell’Ottocento), delle sue quattro donne, della musa/ispiratrice di lui innamorata e del mefistofelico deuteragonista (che lo sconfigge ad ogni occasione) viene frequentemente letto come quello dell’incapacità di relazioni vere e di una vita trascorsa in rapporti interinali inconcludenti. Spesso il protagonista è presentato come uomo giovane ed attraente. Per molti aspetti ricorda un bel racconto di Ernest Hemingway sullo stesso tema- “Le nevi del Kilimajaro”. Il protagonista , ammalato, ricorda storie di amore inconcludenti. Nell’edizione in scena a Monaco (una coproduzione con l’English National Opera di Londra), Richard Jones porta l’azione in un’epoca imprecisata della prima metà del Novecento. Hoffmann corteggia Stella , soprano di successo, ma mentre lei è impegnata nel “Don Giovanni”, si ubriaca di birra nella taverna accanto al teatro e si ricorda delle sue donne precedente: Olimpia- la amò alla follia per accorgersi che era un automa; Antonia, ammalatissima tanto che l’amore la fa perire; Giulietta, affascinante ma essenzialmente una prostituta che vive in un mondo di malaffare. Ciascuna delle tre (pure la bambola) lo tradisce. E al termine del “Don Giovanni”, Stella da un’occhiataccia all’ubriaco e se ne va con un signore elegante. Belle le scene di Giles Cadle ed i costumi di Buki Shiff. Rolando Villazón è il vero mattatore della serata: canta, danza e salta da una parte all’altra del palcoscenico. Un po’ stanco all’inizio della terza parte si è ripreso nel duello con Giulietta. Di grande livello, Angela Brower , il suo allievo e, al tempo stesso, sua musa. Brenda Rae (Olimpia) affascina con i suoi vocalizzi, Olga Mykytenko (Antonia) è un soprano drammatico di livello, Anna Virovlansky è una Giulietta tenerissima (nonostante la professione). John Relyea interpreta i quattro rivali che hanno sempre la meglio sul povero Hoffmann. Grande successo, resterà a lungo in cartellone a Monaco e a Londra.