Sono in questi giorni in corso a Bologna le celebrazioni dei 250 anni dall’inaugurazione del Teatro Comunale; la famosa Sala dei Bibbiena, capolavoro architettonico a cui si sono ispirati i teatri barocchi di mezza Europa. Tre teatri dei fratelli Bibbiena ancora attivi in Italia sono il Lauro Rossi di Macerata, lo Scientifico di Mantova ed il Fraschini di Pavia. Ma lo stile architettonico lanciato 250 anni fa ha avuto un grande impatto in Germania e Francia perché permetteva ottima acustica, visibilità dai vari ordini dei palchi e macchinari per il teatro barocco. In una Bologna di 70.000 abitanti, il Teatro ne conteneva 1200; ora con regole più stringenti in materia di sicurezza ha circa mille posti. Ma Bologna ha mezzo milione di residenti. In questi due secoli e mezzo, il teatro della città felsinea è stata rimaneggiato più volte: sono state tolte le belle barcacce all’altezza del palcoscenico, è stata scavata la buca d’orchestra, è stato aggiunto il palco reale, è stato rimodellato il foyer. L’acustica non è più quella del 1763 ma è sempre tra le migliori d’Italia.
Il Comunale di Bologna ha avuto un ruolo importante nella storia della musica in quanto considerata per anni il “teatro italiano wagneriano” per eccellenza. Fu anche il teatro dove Arturo Toscanini venne insultato, e schiaffeggiato, per non avere voluto suonare “Giovinezza” all’apertura di una serata; per ciò si decise ad emigrare negli Usa. Più di recente è uno dei rari teatri che da spazio a lavori contempo nei. Vi ha debuttato (in Italia) Le grand Macabre di Ligeti, Maderna vi ha presentato una storica edizione di Hyperion. Tra poche settimane il debutto italiano di Divorzio all’Italiana di Battistelli che da cinque anni miete successi in Francia.
Per le celebrazioni si è avuto un convegno internazionale sul futuro dei rapporti tra lirica e società civile il 13 maggio, la messa in scena de Il trionfo di Clelia, la medesima messa in scena 250 anni fa, il 14 maggio (sino al 22 maggio) e la sera del 18 maggio il conferimento degli Oscar internazionali della lirica.
Il trionfo di Clelia Venne composta da Christoph Willibald Gluck nel 1762, su libretto di Pietro Metastasio, e su commissione proprio per l’inaugurazione del Teatro. –Gluck avrebbe preferito utilizzare altre opere di Metastasio, in particolare L’Olimpiade, ma i committenti scelsero Il trionfo di Clelia, ritenendolo più adatto al pubblico per la sua maggiore spettacolarità, grazie alla presenza di scene di particolare effetto come il combattimento di Orazio su un ponte, da cui si getta nel fiume, oppure l’attraversamento del Tevere a cavallo da parte della protagonista Clelia. E’ un’opera barocca che precede di circa un lustro quella che, nelle storia della musica, viene chiamata “la riforma gluckiana” che a fine Settecento aprì la strada a quello che sarebbe stata il melodramma del secolo successivo. Con la “riforma” si semplificava al massimo l’azione e si toglievano molti orpelli. Il trionfo di Clelia non venne mai più ripresa fino al 2001, quando venne rappresentata nel delizioso teatro di Lugo di Romagna, ma non nella sua versione completa e originale (le parti maschili furono trasportate da soprano, mezzosoprano e contralto per baritono e tenore, alcune arie furono semplificate o accorciate, numerosi recitativi tagliati). Nella edizione ora a Bologna (che si vede anche a Atene e Londra) si utilizzano voci femminili e contro-tenori per ruoli allora affidati a castrati. Il linguaggio musicale, per quanto barocco, ha già in germe la “rivoluzione” che Gluck covava. L’orchestrazione è ampia e raffinata Il ritrovamento in un monastero austriaco di una copia manoscritta, avvenuto nel 1904, passò relativamente sotto silenzio; il manoscritto, oggi al Conservatorio di Bruxelles, venne ripreso nel 1963 da Giampiero Tintori.
Difficile dire se per Il Trionfo di Clelia si apre una nuova stagione teatrale in Italia ed in Europa. L’originale (balletti comprese) durerebbe oltre sei ore. Il regista e scenografo inglese Nigel Lowery prende pretesto dal testo metastasiano – vicenda di amori ed eroismi nella Roma sotto il giogo etrusco – per farne una parodia dadaista di “un’opera seria” (di circa tre ore). Nelle intenzioni del regista il tema prevalente è l’anelito di libertà contro la tirannia, ma anche a ragione dei fantasiosi costumi di Monica Benini prevale il sapore del grottesco. Una scelta registica innovativa ma che parte del pubblico del 14 maggio ha trovato controversa. Il Presidente della Fondazione Metastasio al termine della serata ha detto che il “Cesareo Poeta” si sarebbe rivoltato nella tomba.
Di livello, gli aspetti musicali affidati a Giuseppe Sigismondi De Risio, in particolare la decisione di rispettare la vocalità originale. Cast giovane in cui spicca Maria Grazia Schiavo (Clelia) alle prese con una scrittura impervia. Molto bravi anche gli altri protagonisti Mary-Ellen Nesi (Orazio), Burcu Uyar (Larissa), Irini Karaianni (Tarquinio) , Vassilli Kavayas (Porsenna) e Daichi Fujiiki (Mannio). Interessante l’orchestrazione , più ricca – come si è accennato- di quanto consueto in opere dell’epoca. Nonostante questi pregi, arduo prevedere un nuovo viaggio di “Clelia” nei cartelloni.