Un tour degli Eels è sempre qualcosa di nuovo. Ogni volta Mark Oliver Everett (aka Mr E) si inventa un tema su cui gli ormai affiatatissimi componenti giocano e ricamano. C’è stata la volta della musica da camera, quella dell’aviatore e del ferroviere, quella della bandana e occhiali da sole e buon ultima un anno fa all’Alcatraz il matrimonio dopo dieci anni di “convivenza musicale” con il chitarrista (the Chet) tutti in tuta Adidas. Questo tour accompagna l’uscita di “The Cautionary Tales Of Mark Oliver Everett” album ideale appendice della biografia di qualche anno fa pregno di canzoni autobiografiche e profonde.
L’apertura della serata tocca al duo “Daughters of Davis” composto dalle sorelle inglesi Adrienne e Fern (Davis). Ci raccontano come hanno viaggiato in UK due anni su un furgone comprato su eBay suonando ovunque traendone un dvd e un cd. Sono molto simpatiche e hanno delle ottime doti vocali, ma il sentimento comune è che come loro ce ne saranno diecimila e l’originalità non è certo dalla loro. Nonostante ciò è un piacevole opening act in attesa di vedere cosa riserverà il ragazzo della Virginia.
All’ingresso i cinque Eels indossano giacca e cravatta, in linea con la copertina dell’ultimo lavoro della band.
Il mood del concerto sembra dover tenere un profilo molto serioso, impostato ma non dura molto, non per le canzoni provenienti anche da periodi travagliati, ma per il loro modo di porsi, si divertono, scherzano e ridono.
“Where I’m at”, la cover di Leigh Harline “When You Wish Upon a Star” e “The Morning” dal contro(intro)verso “Tomorrow Morning” danno un taglio molto rallentato, ma Mark (che strano chiamarlo così!), urla: “Are you ready for the rock music?” e al boato che segue replica “wrong place” scoppiando a ridere e noi con lui.
“This is uneasy listenig music!” e attacca “Parallel” dall’ultimo lavoro, brano desolato e biografico fino al midollo, pieno di domande e con poche risposte certe.
Il gruppo con il ‘solito’ the Chet (aka Jeffrey Lyster) alla chitarra, P-Boo (aka Mike Sawitzke) alla chitarra e tromba, Knuckles (Derek Brown) ai tamburi/timpani e batteria e il gigantesco bassista Honest Al stasera solo con il contrabbasso ama prendersi in giro, esagerando gli atteggiamenti troppo seriosi o sprizzando di gioia facendosi degli enfatici complimenti. Anche l’alternarsi dei brani fa saltare da un periodo all’altro andando dai recentissimi “Agatha Chang” e “A line in the dirt” o la bella “Mistakes of my youth” fino a diversi brani presi da “Daisies for the galaxy”: “A Daisy Through Concrete”, “Daisies of the Galaxy”, “Grace Kelly Blues” e la solita sferzata di energia di “I Like Birds” e dai primi lavori: “Last Stop:this Town” e la stravolta immancabile “My beloved monster”. Imperdibili le versioni di “It’s a motherfucker” al piano e la rara “Fucker”. Il finale costellato dai sorrisi soddisfatti di E che, come se ci concedesse un privilegio, al termine dei nuovi brani dice soddisfatto “another one!” con the Chet che gli fa una marea di complimenti stringendogli la mano e abbracciandolo, ma non è finita.
Prima delle conclusive “Can’t Help Falling in Love” di Elvis e “Turn On Your Radio” dei Journey(!!!) rallentatissima, E vuole abbracciarci tutti e all’urlo di “Give me a hug!” letteralmente scende nel pubblico abbracciando chiunque gli capiti a tiro.
Alla fine la ventina di canzoni eseguite riusciranno a stare in un’ora e venti abbondante di concerto dando un quadro quasi completo della musica che il gruppo di (base a) Los Angeles ha prodotto in questi ultimi anni. Stravolgendo alcuni vecchi classici e proponendo pezzi che non erano riusciti ad entrare nelle setlist dei tour precedenti.
L’uneasy listening si rivela solo una scusa per condurre i brani ad una nuova dimensione, dissacrando e sconfiggendo i dolori, le ferite e la follia dentro a certi pezzi non certo, appunto, ‘facili da ascoltare’. Un’altra faccia della originale e mai banale musica degli Eels si è rivelata.