Rita Marcotulli, pianista jazz che nel corso degli anni ha collaborato con musicisti del calibro di Chet Baker, Pat Metheny, Sal Nistico, Enrico Rava e Billy Cobham, ha da poco inciso un disco dal titolo “Us and Them, Noi e loro. Omaggio ai Pink Floyd”. Us and Them è un brano composto da Richard Wright, il tastierista della storica band inglese, scomparso ieri all’età di 65 anni a causa di un tumore. Lo stesso brano in piano solo è una chicca presente anche in un altro disco di Rita Marcotulli, dall’evocativo titolo “The light side of the moon”.
A quando risale la sua passione per i Pink Floyd?
Quando ero adolescente studiavo pianoforte al Conservatorio, ma ascoltavo anche gruppi rock, tra cui soprattutto i Pink Floyd, un gruppo che ha fatto la storia. La loro musica era meravigliosa ed è rimasta legata ai momenti più belli della gioventù. Più avanti, imparando l’inglese, ho scoperto anche la profondità dei loro testi, la loro consapevolezza nei confronti del mondo, il loro messaggio. In loro ho sempre visto una grande sincerità. In un’intervista rilasciata a un giornalista che gli chiedeva se la sua musica fosse “commerciale” Roger Waters rispose: «me lo dica lei, io faccio quello che sento». Dopodiché videro il successo, le ragazze che si strappavano i capelli come succedeva per i Beatles, il business, il consumismo e davanti a tutto questo costruirono The Wall, un muro.
A distanza di anni, dopo tutte le esperienze musicali avute e gli studi e gli approfondimenti fatti cosa pensa della loro musica?
Quando la musica è buona non faccio distinzioni di genere, se c’è dietro una ricerca, che porta alla “verità” mi interesso. Gil Evans, il grande compositore e arrangiatore jazz, diceva che l’arte vive nel presente, mentre le cose di moda sono effimere. Se ascolto oggi un disco dei Pink Floyd non lo sento datato. La loro musica è ricca, spazia dai pezzi “cosmici” che tendono ad abbracciare tutto, a quelli minimali di chi è umile e si vede come piccolo in questo mondo. Dietro la loro musica ho visto sempre molta poesia.
Il tastierista Richard Wright non era un virtuoso ma è stato importantissimo nel creare quel suono unico e riconoscibile che il gruppo aveva. Che giudizio aveva di questo musicista?
Aveva il suo modo particolare di suonare e di sperimentare. Non era un solista o un musicista di cui emerge l’aspetto tecnico, ma a me non è mai interessato il virtuosismo fine a sé stesso. Non è il mio pianista di riferimento, ma l’idea di fare un tributo ai Pink Floyd mi è venuta ascoltando la sua bellissima Us and Them, che era stata scritta per essere la colonna sonora di un film di Antonioni, che però scartò. Il bello dei Pink Floyd era che c’era bisogno di tutti. Certe alchimie si realizzano con certi musicisti e questo lo vedo anche nella mia esperienza personale. D’altronde musicisti bravi ce ne sono in giro un’infinità, il difficile è trovare quelli giusti per riuscire a dire qualcosa.
La loro musica si è prestata benissimo a un’interpretazione jazzistica…
Assolutamente, è molto aperta, ci sono spazi per l’improvvisazione. Ci sono momenti in cui la musica è più ipnotica, ci sono innovazioni come l’uso de suoni concreti, come il rumore dei soldi, o delle macchine. A volte ci sono richiami a Miles Davis, a So what. Erano capaci di guardare al di fuori del loro recinto e questo è sempre un bene.
Che reazioni ha raccolto il suo progetto nel mondo del Jazz e tra i fan dei Pink Floyd?
Devo dire molto positive. È stata una sfida mettere assieme musicisti Jazz e musicisti che arrivano dal Rock e dal Pop. Hanno partecipato: Giovanni Tommaso al contrabbasso che ha fatto la storia del Jazz italiano, Andy Sheppard ai sassofoni, Fausto Mesolella, chitarrista degli Avion Travel, Michele Rabbia alle percussioni e ai suoni elettronici, Mattew Garrison al basso elettrico, Raiz, voce degli Almanegretta e Alfredo Golino alla batteria. C’era molta voglia di suonare assieme al di là delle provenienze. Mi hanno detto che un fan club dei Pink Floyd ha segnalato l’album come miglior disco tributo e questo mi ha fatto molto piacere.