La notizia della scomparsa di Michael Jackson è arrivata qui da noi improvvisa, nella notte, poco dopo l’inutile corsa all’ospedale di Los Angeles dell’ambulanza che provava a salvarlo. Il web da quel momento non smette di riproporre i suoi video, i grandi successi, le immagini delle diverse stagioni di una vita stritolata dagli eccessi.
Abbiamo chiesto a , critico musicale e vicedirettore de Il Giorno, di ripercorrere brevemente i tratti essenziali del “Re del Pop”.
Cosa ha rappresentato Michael Jackson nel panorama musicale dagli esordi fino ad oggi?
Al di là dei riconoscimenti che gli sono stati riconosciuti in vita (il più grande venditore di dischi di sempre con i suoi 750 milioni di album venduti, il titolo di “artista del millennio”, i Grammy Awards, ecc.) Michael Jackson è sicuramente, assieme a Madonna, l’artista che ha codificato il nuovo “pop”, dagli anni Ottanta in poi.
Le differenze tra i due sono notevoli, comunque con “Thriller” diventa chiaro chi sarebbe diventato: è un album, un singolo, un video, un film, che riassume e anticipa tutto.
Perchè è un album così importante?
La collaborazione con Quincy Jones crea un ponte tra le radici nere, del jazz, di cui lui era forse l’arrangiatore moderno più raffinato e il nuovo pop che stava nascendo, legato a una nuova forma di show e di comunicazione visuale.
“Thriller” è il video che diventa film e il film che diventa video, firmato da John Landis, che allora era il regista più creativo ed estroverso di Hollywood.
Gli arrangiamenti di Jones inventano, di fatto, un nuovo modo di usare la ritmica.
Jackson non è solo la voce che tutti conoscevano, ma l’artista che canta in un modo nuovo, balla in un modo diverso, reinventa il concerto pop, andando a competere con le grandi produzioni rock del tempo. Ricordiamo che mentre il rock, con gli Stones, i Pink Floyd, i gruppi metal e David Bowie, aveva inventato un linguaggio scenografico assolutamente spettacolare, il pop era rimasto ancorato a vecchi stereotipi.
Jackson canta, balla, si inventa un nuovo passo, con “Thriller” indica la strada da seguire e con Quincy Jones sforna degli album al limite della perfezione.
Uno stile che giustamente coopta e cannibalizza in maniera creativa tutti i generi, ne è un esempio Black or White, con l’uso delle chitarre rock, che entrano a far parte del suo linguaggio.
Cosa dire invece del personaggio Jackson, discusso, ambiguo, vittima del suo stesso successo?
Parlando di Michael non si può non parlare di Madonna. A mio avviso sono i miti del pop moderno e può essere utile fare un confronto.
Madonna è un’artista con un quoziente intellettivo da genio, Jackson invece un grande talento, purtroppo mai in grado di gestirsi da solo.
Un artista che, perdendo il controllo della sua vita, perde il team che l’ha portato nella sintesi più alta della sua musica perde se stesso. Tutto questo accade dopo aver insegnato a tutti, anche a Madonna, cosa avrebbe potuto diventare il pop.
Se si pensa a Madonna, non si può non pensare a un suo video, a un suo concerto. Vengono in mente i multipli di Wahrol. Madonna ha insomma un’altra profondità, mentre Jackson si ritrova ad avere tutto a cinque anni e a perdere tutto a cinquanta.
La crudeltà, se vogliamo, del Libro di Giobbe della Bibbia (“Dio da, Dio toglie”) sembra più forte delle favole e della favola che poi Jackson prova a costruire nella sua residenza, Neverland Valley Ranch, e nella sua ambiguità.
L’aver dovuto subire da bambino le regole dello show business e un’autorità paterna troppo forte hanno impedito a Michael di crescere, portandolo a voler essere Peter Pan per tutta la vita.
Fatti noti e ignoti l’hanno traumatizzato in modo indelebile portandolo a comportamenti border line e all’incapacità di essere una persona normale.
Tornando ai multipli wahroliani, è simbolico che non abbia provato come Madonna a creare dei multipli del suo volto, ma, rifacendoci a Barthes, ad aver “destrutturato ” la sua personalità e il suo essere.
Si può dire che Michael fu l’uomo che non volle farsi Michael.
Camilla Schiantarelli