Ariodante di Georg Friederich Händel tratta anch’essa di amore e potere. E’ un lavoro del 1734 quando a Londra infuriava una propria guerra tra il teatro italiano, portato dal sassone Händel e quello inglese. Guerra tra teatri commerciali; la Corte sembrava parteggiare per il sassone che era impresario oltre che musicista e la cui impresa dovette dichiarare ben due volte fallimento. L’opera ha avuto un’anteprima di due recite al Festival di Pentecoste dove ha avuto un grande successo. Debuttò nel 1734. Periodo in cui il barocco stava cedendo spazio all’illuminismo in tutte le arti; quindi, l’opera barocca aveva iniziato a trasformarsi in quella che sarebbe stata l’opera seria.
Il merito va, oltre che a Händel ed al suo anonimo librettista, a Cecilia Bartoli ed al regista Chritof Loy che hanno concepito lo spettacolo. Tratta dal quarto canto dell’ariostesco Orlando Furioso e dal racconto Ginevra, principessa di Scozia di Antonio Salvis, non ci porta in un mondo di castelli in cartapesta e di armature di latta. E’ ambientata in un salone neoclassico, la cui parete principale si apre per mostrare ambienti esterni (giardini, montagne) della pittura del settecento. I costumi sono in gran parte moderni, ma in alcuni casi si ritorna al settecento ed in altri ancora (il duello) al Medioevo. Come in Orlando di Virginia Wolff, si spazia per vari secolo per dare il senso della perenne attualità dei sentimenti alla base del lavoro.
La vicenda è semplice e, al tempo stesso, complessa. Come in Genoveva di Schumann (del 1848, quindi, in pieno romanticismo), al momento delle nozze la futura sposa (Ginevra, Katryn Lewek) viene calunniata. Alla calunnia ed alle prove apportate dal Duca Polineso (Christophe Dumaux) crede anche il Padre, Re Di Scozia (Nathan Berg). Il suo promesso Ariodante (Cecilia Bartoli) tenta il suicidio. Dopo vari intrighi, il fratello di Ariodante (Rolando Villazon) e la dama di fiducia della principessa, Dalinda (Sandrine Piau) svelano le malefatte di Polinesso. Una grande festa di nozze termina l’opera. In ciascuno dei tre atti, c’è un simpatico balletto.
Una trama così esile non reggerebbe le oltre tre ore e mezzo di spettacolo se la musica (in gran misura arie con da-capo, alcuni duetti ed un coro) non fosse di eccezionale qualità ed eseguita con grande perizia da Les Musiciens du Prince – Monaco su strumenti d’epoca o il più simile possibile a quelli del 1734. Le voci, poi, sono di altissimo livello. Non solo Cecilia Bartoli, per la prima volta in abiti maschili e con barba da cavaliere crociato, ma tutta la compagnia vocale. A ciascun interprete sono affidate almeno tre arie, tutte impervie e piene di trabocchetti.
Uno spettacolo di grande eleganza che iniziato alle 19 si è concluso oltre le 23 30 con circa un quarto d’ora di ovazioni.
Lo rivedremo certamente all’Opéra di Montecarlo ed altrove.