Dopo 22 anni di assenza è tornato al Teatro dell’Opera di Roma, La Sylphide di August Bournonville. Lo spettacolo è tanto amato dal pubblico che il corpo di ballo e le étoiles del Teatro dell’Opera lo hanno messo in scena, i questi anni, al Teatro Brancaccio, al Teatro Nazionale e nella stagione estiva delle Terme di Caracalla). Non è solo uno spettacolo breve (meno di due ore intervallo compreso) e gradevole ma La Sylphide ha una valenza particolare nella storia del teatro in musica. Nel 1830, è il balletto che sancì la fine dei balletti grandiosi basati sulla mitologia greco-romana: è la nascita del balletto romantico “francese”, nonostante la partitura e la coreografia attualmente utilizzata siano di due danesi, Hermann Severin von Løvenskjold e Erik Bruhn. Lo spettacolo venne però ideato per Parigi dove ebbe la prima rappresentazione.
Nel 1830, anno “rivoluzionario”, venne considerato innovativo perché trattava una vicenda (allora) contemporanea: l’amore impossibile di un uomo, James, che rinuncia alle certezze della realtà per inseguire La Sylphide, creatura fantastica che turba i suoi sogni. La situava, poi, tra le nebbie di una Scozia come poteva essere immaginata dalla Parigi dell’epoca. Era, poi, un balletto intimista, non colossale, che faceva perno su amori intricati ma delicati. La musica di Severin von Løvenskjold, che ha lasciato oltre ad un paio di altri balletti, un Singspiel e una Turandot (nessuno di questi lavori è stato ripreso in tempi moderni), è delicata come un calice di vino bianco dello Chablis. Per queste ragioni, piace ancora oggi; dal 1966 ad oggi il Teatro dell’Opera di Roma lo ha presentato in ben dodici stagioni , tra sala principale e sedi di più piccole dimensioni.
Il balletto nasce di Charles Nodier (autore molto noto del primo romanticismo francese, “Trilby ou le lutin d’Argail”). Il balletto e la sua coreografia hanno una storia complicata. Fu Adlpohe Nourrit, allora noto tenore dell’Opéra di Parigi, a suggerire a Filippo Taglioni l’idea di creare un balletto ispirato al racconto di Charles Nodier, dopo che egli vide la figlia del coreografo, Maria, danzare con estrema grazia e leggiadria in “Robert le Diable” di Jacques Meyerbeer. Il balletto conteneva un’innovazione tanto importante da fare storia: per la prima volta la protagonista (e le altre Sylphides) utilizzano scarpette da punta appositamente confezionale per dare una bellezza e di una leggerezza innaturale tale da calzare perfettamente al personaggio (e le sue amiche). Il tutù, il costume bianco della Silfide, ha creato uno stile che ha segnato il balletto per più di un secolo, ed è ancora oggi la divisa tipica della ballerina. Il tutù venne disegnato dal costumista Eugène Lamy, mentre gli altri costumi erano di Lormier. Con l’introduzione del tutù, “La Sylphide” dette l’avvio a una serie di “ballets blancs” o balletti bianchi che sarebbero diventati il simbolo dello stile Romantico. La coreografia , rappresentata per la prima volta all’Opéra di Parigi il 12 marzo 1832, è di Filippo Taglioni, con la musica composta per il balletto da Jean Schneitzhoeffer. Maria la danzò con Joseph Mazilier, circondata dagli straordinari macchinari scenografici di Pierre Luc-Charles Cicéri.
Nonostante il successo strepitoso del balletto e le innumerevoli repliche che ebbe in seguito, “La Sylphide” di Taglioni venne replicata solo fino al 1858, con interprete Emma Livry. Pochi anni dopo la prima rappresentazione della versione ideata da Taglioni, August Bournonville ideò una propria versione del balletto a Copenaghen, intitolato “Sylfiden”. August, figlio e allievo di Antoine Bournonville, che dal 1792 era stato primo ballerino, poi maestro del Balletto Reale Danese, dopo aver studiato a Parigi con Auguste Vestris e Pierre Gardel, divenne il primo ballerino al Balletto dell’Opera di Parigi dal 1820 al 1828, al fianco di Maria Taglioni. Ritornato in Danimarca nel 1829 e nominato primo ballerino e coreografo del Balletto Reale Danese, dopo aver visto “La Sylphide” a Parigi nel 1834, creò una nuova versione del balletto, seguendo lo stesso schema e libretto di quella di Taglioni. Bournonville utilizzò una nuova partitura musicale, quella di Hermann Severin von Løvenskjold, e fece interpretare il ruolo della protagonista alla sua allieva prediletta, Lucile Grahn, ma ampliò il ruolo del protagonista, James: il 28 novembre 1836 a Copenaghen andò in scena la nuova Sylphide. La coreografia di Bournonville, rimasta attualmente come la versione più celebre del balletto, si distingue da quella di Taglioni, oltre che per la musica, per l’esuberanza, la leggerezza, la bellezza formale e per il maggior rilievo dato al ballerino maschio.
A Roma è stata presentata un’edizione davvero internazionale La versione di Erik Bruhn è stata ripresa da Maina Gielgud, lungo direttrice dell’Australian Ballet e del Balletto Reale Danese. Sul podio, l’esperienza e lo stile del britannico David Garforth. Le scene sono di Michele Della Cioppa, i costumi di Shizuko Omachi. Protagonisti: l’italiana Gaia Straccamore ed il cubano Rolando Sarabia. Buon successo alla “prima” il 28 maggio grazie alla bravura anche degli altri solisti e del copro di ballo. Sono in programma otto repliche questa stagione e riprese in futuro. A Roma, La Sylphide è ormai di repertorio.