La vicenda dei Cigarettes After Sex è a dir poco curiosa. Il gruppo texano ora di stanza a Brooklyn, è attivo dal 2008, non ha ancora pubblicato un disco di debutto vero e proprio, eppure almeno da un paio d’anni è sulla bocca di tutti.
Nel 2012 avevano già rilasciato un ep di quattro pezzi (tre originali e una cover) ma sinceramente me l’ero totalmente perso. Li ho scoperti solo un anno e qualche mese fa, quando era uscito il singolo “Affection”, che aveva come bside una brillante rilettura dell’inno dei Reo Speedwagon “Keep On Loving You”. Poco dopo hanno pubblicato anche “K.”, che oggi scopriamo sarà la traccia d’apertura del loro tanto sospirato disco d’esordio.
A cercare bene sulla rete però, si scopre che quello in uscita il 9 giugno sarà in realtà il secondo full length della band. Nel 2011 Greg Gonzalez, con una formazione completamente diversa rispetto a quella odierna, registra undici canzoni e le racchiude in una copertina dai toni malinconici dove si vede l’immagine sfocata di un cartello con la scritta “Romans 13:9” (il passo della Lettera ai Romani di San Paolo dove si cita il cosiddetto “comandamento dell’amore”, “Amerai il prossimo tuo come te stesso”).
Quell’album senza titolo, per alcuni un demo, per altri un disco perduto, non viene menzionato nel sito ufficiale della band e neppure sulla sue pagine nei vari Social Media. Per molti, semplicemente, non esiste.
Invece è reale e mostra un collettivo che, seppure lontano dalla rifinitura del proprio sound che sembra aver raggiunto oggi, era già in grado di creare melodie piacevoli dal gusto nostalgico, anche se in certi momenti i brani risultavano dispersivi e non ancora molto certi della direzione da prendere.
È lecito quindi pensare che Gonzalez ad un certo punto abbia deciso di resettare tutto e di ripartire da zero con la propria carriera discografica. Una carriera che, al di là della giusta strada su cui sembra essersi incamminata, ha comunque proceduto piuttosto a rilento: se il primo ep risale a cinque anni fa, “K.” è uscita a fine 2015 e, a quanto pare, era già stata pensata per un disco di cui solo recentemente è stata annunciata una data d’uscita.
Tutto questo ha però fatto crescere attese e aspettative a dismisura, a dimostrazione di come oggi, con un uso intelligente dei Social Network e sfruttando a dovere la cronica diminuzione di attenzione da parte dell’ascoltatore medio, si possa ottenere molto di più con un paio di canzoni pubblicate al momento giusto, piuttosto che con un disco intero.
I Cigarettes After Sex sono così diventati la band del momento e hanno potuto intraprendere un esteso tour europeo pur avendo solo cinque brani propri all’attivo su Spotify e affini. In Italia li avevamo già visti lo scorso inverno a Bologna (io purtroppo non ero riuscito ad andare) mentre questa data milanese, annunciata da parecchio tempo, è andata sold out più di un mese fa. Un risultato sorprendente, se si pensa che siamo in un paese dove raramente ci si muove da casa per andare a vedere un artista esordiente.
Quando arrivo sul posto, a poco meno di mezz’ora dall’orario previsto, mi rendo però conto che questo tutto esaurito tanto pubblicizzato è stato, appunto, una trovata pubblicitaria: il Fabrique, che tiene sulle tremila persone più o meno, è stato infatti sapientemente ridotto di dimensioni mediante l’uso di teli, così che si sarebbero potuti vendere tranquillamente biglietti anche la sera stessa.
Non è comunque un risultato da sottovalutare, perché questa folla la si vede molto raramente da noi, per un gruppo di questo tipo.
A questo punto la domanda sorge legittima: che cos’hanno i Cigarettes After Sex di così particolare per attirare tanta gente ad un loro concerto? Di sicuro, mi sento di dirlo, non sono meglio di molte altre band che pure nel nostro paese sono ancora semi sconosciute.
Al di là di un battage pubblicitario senza dubbio riuscito e della inevitabile considerazione secondo cui in certe dinamiche di ascesa e declino commerciale rimarrà sempre una componente di pura casualità, è indubbio che la loro proposta abbia molti ingredienti per piacere alle nuove generazioni, come ha infatti dimostrato la giovane età media dei presenti al Fabrique.
Il loro è un Pop delicato e sognante, dalle marcate atmosfere malinconiche e nostalgiche; canzoni costruite attorno alla chitarra arpeggiata di Gonzalez e alle sue melodie vocali, cantate con una voce delicata e dal timbro vagamente femminile.
Canzoni semplici, lineari nella struttura, con una melodia vocale sempre immediata, riconoscibile e cantabile già al primo ascolto.
Canzoni da camera da letto, si potrebbe aggiungere. Già il monicker che hanno scelto va in questa direzione, evocando una situazione di rilassatezza, un momento di intimità in cui ci si sente a proprio agio con la vita. C’è quel non so che di soffuso ed impalpabile, nel loro Pop, che li renderebbe perfetti come colonna sonora di una serie TV americana come la recente “Thirteen Reasons Why”, che in effetti ha saccheggiato il mondo cosiddetto Indie per il suo accompagnamento musicale (gli stessi protagonisti vengono ritratti in camerette dove campeggiano poster di Bon Iver e Arcade Fire).
È quel mondo lì, insomma. La lezione di Cocteau Twins (quelli più Pop della seconda fase), American Football e Red House Painters, imparata, assimilata e raccontata alle nuove generazioni (perché i gruppi appena citati sarebbero oggi improponibili per un ventenne).
Non molto dissimili da quel che ultimamente hanno fatto i Daughter, anche se loro sono un po’ più Folk nella matrice strumentale e posseggono una componente oscura e tormentata che manca invece alla compagine di Gonzalez.
Parliamo del concerto, ora. Si inizia alle 21.45, per una volta ad un orario che ci permetterà di andare a casa presto. Greg Gonzalez (voce, chitarra), Philip Tubbs (tastiere), Randy Miller (basso) e Jacob Tomsky (batteria) salgono sul palco in sordina e attaccano con “K.”, introducendoci immediatamente nel clima del nuovo disco e nel mood della serata.
Il palco ampio del Fabrique è l’ideale per valorizzare la loro performance: stanno ben distanti l’uno dall’altro, prendendosi il loro spazio e riusciamo a vederli senza problemi. In più, alle loro spalle è posizionato uno schermo che per tutta la durata dello show proietterà dei visual in bianco e nero molto suggestivi, ritraenti ambienti esterni (un temporale, la facciata di un palazzo) e interni (una strana sfera di cristallo, una ragazza che si sveglia nella propria camera) in linea con il particolare artwork dei loro singoli e perfettamente intonati alla malinconica rappresentazione dei sentimenti che sta andando in scena.
Assolutamente nulla la presenza scenica: i nostri sono totalmente dentro le loro canzoni ma non si muovono, non si guardano quasi mai. Gonzalez canta guardando fisso davanti a sé, ogni tanto rivolge qualche parola di ringraziamento al pubblico e annuncia i titoli di quelle canzoni che ancora non sono uscite. Tubbs, che non sempre è chiamato in causa, trascorre i periodi di inattività rimanendo immobile con le braccia lungo i fianchi.
Potrebbe sembrare una descrizione deprimente, invece funziona tutto a meraviglia: è esattamente così che immaginavo dovessero stare sul palco, è esattamente così che mi immaginavo suonassero la loro musica. Quasi inesistenti anche le improvvisazioni, le nuove soluzioni di arrangiamento: tutto suona esattamente come su disco. E data la buona resa acustica di stasera, l’impatto complessivo è veramente notevole.
Scaletta? Piuttosto prevedibile, avendo così poca roba a disposizione. Vengono suonati tutti i pezzi pubblicati fino ad ora, cover comprese (bellissima “Keep On Loving You”, uno dei momenti più alti della serata), con particolare enfasi posta sui brani del primo ep, che sono quelli che il pubblico sembra conoscere di più (“I’m a Firefighter” e soprattutto “Nothing’s Gonna Hurt You Baby” vengono accolti da un boato).
Mi sarei aspettato più pezzi inediti, invece dal disco di prossima pubblicazione vengono estratti solo cinque brani (ne conterrà dieci in tutto). Oltre alla già citata “K.” e ad “Apocalypse”, uscita come singolo a marzo, vengono presentati tre brani nuovi: “Sunsetz”, “Flash” e “Young & Dumb”, che ha chiuso il concerto.
Brani di ottima fattura, in linea con quanto già ascoltato in precedenza, che se possibile accentuano la tendenza alla melodia triste ed orecchiabile, appetibile per orecchie poco allenate all’ascolto di un certo genere ma allo stesso tempo dotate di sufficiente sostanza per essere apprezzate anche da chi ha gusti più sofisticati.
Nei bis, con mia particolare soddisfazione, Greg e Philip, momentaneamente da soli sul palco, eseguono “Please Don’t Cry”, uno dei brani del disco perduto del 2011, a dimostrazione del fatto che non hanno voluto rinnegarlo del tutto. Con un po’ di fortuna, nei prossimi concerti potremmo ascoltarne delle altre.
Dura solo un’ora, la loro esibizione: un po’ poco forse, ma data l’intensità e il repertorio ridotto, forse va bene così. Menzione particolare per il pubblico: nonostante i soliti telefonini e gli abituali disturbatori che hanno scambiato il Fabrique per il salotto di casa, l’intera performance è stata seguita dai presenti con attenzione e partecipazione. Saremo anche diventati più maleducati, ma quando c’è sul palco qualcuno che ci sa fare, essere attratti non è poi così difficile.
Teneteli d’occhio, i Cigarettes After Sex, perché ne vale la pena. Per chi se li fosse persi, torneranno in Italia il 25 luglio per una data a San Mauro Pascoli, nei pressi di Cesena. Se siete da quelle parti pensateci…