“La bellezza ravveduta nel trionfo del tempo e del disinganno” di Georg F. Händelper la prima volta alla Scala, è un evento di grande rilievo. Il lavoro non è stato concepito per una realizzazione scenica ma per una rappresentazione in forma di concerto.
Venne commissionato al giovane Händel (aveva 22 anni e nella Roma barocca del primo Settecento era il beniamino di principi, cardinali e nobildonne) dal Card. Benedetto Pamphilj , raffinato esteta, in quanto ‘oratorio spirituale’ sul tema della fugacità della bellezza fisica e della giovinezza con solo quattro personaggi, tutti a carattere allegorico (la Bellezza, il Piacere, il Tempo e il Disinganno) e un organico di 18 orchestrali (compreso maestro concertatore al cembalo).
Venne eseguito a Palazzo Pamphilj nel maggio 1707 (secondo alcuni a Palazzo Clementino, ma è dettaglio irrilevante) – non si sa se in forma di concerto o in forma semi-scenica- probabilmente in una serata musicale in cui venne servito anche un banchetto. Modificato, ampliato (con un piccolo coro) e in versione ritmica in inglese venne ripreso al Covent Garden nel 1737 e nel 1757. Händelquindi, vi lavorò per tutta la vita, consapevole della ricchezza e dell’innovazione di questo suo lavoro giovanile; nel corso degli anni, molti numeri musicali vennero “presi in prestito” e incastronati in altre opere (quali la stupenda aria Lascia la spina/cogli la rosa che in Rinaldo diventerà Lascia che io pianga).
La ripresa in forma scenica in tempi moderni si deve ad un fortunato allestimento di Jürgen Flimm (con direzione musicale di Marl Minkowski) in repertorio a Zurigo dal 2003; l’oratorio diventava un dramma di interazione tra due coppie nel 1990 o giù di lì con un finale, però, fortemente etico e religioso. Da allora, varie versioni si vedono in teatri tedeschi e in Francia. In Italia è stato presentato in forma scenica alla 58sima Sagra Malatestiana. E’ stato annunciato un paio di volte a La Fenice, nella produzione di Stoccarda, ma l’idea non si è mai materializzata.
Si attribuisce a Cecilia Bartoli l’idea della messa in scena a Zurigo, dove si cercavano produzioni a basso costo. In effetti il teatro dell’opera di Zurigo è di piccole dimensioni (circa ottocento posti) e si presta ad un lavoro con quattro interpreti che discutono se è meglio essere o apparire per circa due ore e mezzo. A Rimini la regia di Denis Krief (alle prese con uno spazio scenico non convenzionale – un salone in disfacimento di un antico convento bombardato durante la Seconda Mondiale) spingeva ancora di più l’attualizzazione della situazione scenica.
Eravamo in un appartamento di lusso ai Parioli a Roma o a Via Montenapoleone a Milano. Due coppie cenavano insieme, servite da un discretissimo cameriere. Le signore vestivano primizie delle collezioni inverno 2007-2008 delle migliori case di moda. Il menu era elegante: pinzimonio alle acciughe, astice con quenelles di fagioli, gazpacho con branzino, paccheri ai fiori di zucca , nella prima parte della cena; una breve pausa in terrazza e poi sorbetto al pompelmo, tournedos al foie gras, mousse al cioccolato I vini all’altezza dei cibi. La conversazione è intensa; tratta di problemi “alti”. I quattro commensali, però, conversano non parlando ma cantando in versi petrarcheschi ed accompagnati da una piccola orchestra. Quindi, “desinar cantando”, innovazione in un percorso, iniziato nel Cinquecento, con il tentativo rinascimentale di riesumare il teatro greco tramite il “recitar cantando”.
Le due coppie trattavano di filosofia, di politica e di religione. Era in corso, però, un dramma che accende tensione nella cena. Una delle due coppie è eterosessuale e benpensante; l’altra è legata da un legame saffico (molto forte e molto erotico in una delle due donne, più debole nell’altra, più giovane ed incerta). L’azione scenica funzionava bene ed appassiona il pubblico per le tre ore circa dello spettacolo.
Nel portare il lavoro da Zurigo a Milano ed a Berlino (Staatsoper unter den Linder provvisoriamente alloggiata al Teatro Schiller), Jürgen Flimm, con l’apporto di Gudrum Hartmann ha ripensato la regia per un ambiente molto più grande di quello della capitale finanziaria svizzera. Flimm, Hartmann e lo scenografo Erich Wondercollocano il passaggio dall’edonismo alla malinconia che impregna l’oratorio in una serata dopo teatro o dopo cena che affonda nella notte al bancone di un caffè alto borghese ispirato alla leggendaria brasserie parigina art déco La Coupole a Montparnasse , inaugurata nel 1927, in cui si incontravano tra gli altri Man Ray, Aragon, Picasso, Simenon e Josephine Baker. Il bar diviene teatro moderno di simbologie di perfetto sapore barocco, tra controscene e movimenti coreografici. Nei tavoli si mangia e si beve ed i protagonisti sono impegnati a farsi versare vini e liquori, mentre musica e canto sono contrappuntati da una coreografia ipnotica.
L’azione scenica diventa un vero e proprio dramma denso e serrato; il ‘ desinar cantando‘ si trascina sino all’alba, dopo che gli altri avventori hanno lasciato il ristorante ed i camerieri stanno facendo le pulizie. ‘Disinganno’(Sara Mingardo) con l’aiuto di ‘Tempo’ (Leonardo Cortellazzi) convince ‘Bellezza’ (Martina Jancová) non solo a lasciare ‘Piacere’ (Lucia Cirillo) con cui ha una relazione anche erotica ma anche, in un’alba trascendentale, ad andare in convento sia per espiare i rapporti lussuriosi con ‘Piacere’ sia per conoscere la vera beltà. Probabilmente quella de Il Trionfo del Tempo e del Disinganno (come viene comunemente chiamato il lavoro) è la migliore regia di Jürgen Flimm tra le numerose da me viste. E’ anche il migliore spettacolo alla Scala in mesi.
Eccellente la parte musicale. La Scala si è affidata ad un barocchista come Diego Fasolis ed i 18 strumentisti suonavano o con strumenti d’epoca oppure il più simile possibile a quelli del settecento, rendendo così pur nella grande Sala del Piermarini le tinte ed i colori appropriati ad un oratorio trasformato in intensa azione drammatica, ma pur sempre con una forte caratterizzazione religiosa.
Ottimi i quattro protagonisti , anche loro frequenti interpreti della musica barocca. Ciascuna delle tre protagoniste femminili con un timbro leggermente differente, da quello sensuale di Martina Jancová a quello brunito di Lucia Cirillo e di Sara Mingardo. Leonardo Cortellazzi ha confermato un registro ampio ed un fraseggio si classe.
Spettacolo da non perdere.