La Prima al Teatro Massimo di Palermo di “The Greek Passion” di Bohuslav Martinu è stato un evento di grande importanza sia perché si è inserito in una tradizione che sta perdendosi sia perché ha portato nella capitale della Sicilia critici e appassionati di musica da tutto il mondo. Il Massimo è una delle rare fondazioni lirico sinfoniche che è stata effettivamente risanata e ha una programmazione varia e attenta pure alle nuove generazioni. Quest’anno ha avuto un significato ancora più speciale per la coincidenza con la Beatificazione di Papa Giovanni Paolo II.
La tradizione riguarda l’esecuzione e, a maggior ragione, la messa in scena di “musica dello spirito” nel periodo tra Pasqua e la Pentecoste. Nel Seicento e nell’Ottocento, nella Quaresima e nel periodo delle Feste Pasquali (spesso estese sino alla Pentecoste), i teatri avevano l’obbligo di mettere in scena unicamente oratori o sacre rappresentazioni. L’obbligo diventò prassi in numerose parti d’Europa. Lo è praticamente ancora in Germania dove in queste settimane si vede e si ascolta il “Parsifal”, chiamato dall’autore del testo e della musica Richard Wagner “sacra rappresentazione in tre atti”: per decenni dopo la scomparsa del compositore, gli Stati che avevano firmato la convenzione internazionale dei diritti d’autore non potevano rappresentare il lavoro che si sarebbe potuto mettere in scena unicamente nel teatro appositamente costruito a Bayreuth. Ora pochi teatri seguono questa prassi.
La segue Palermo perché “The Greek Passion” è, in primo luogo, “musica dello spirito”. L’opera di Martinu (compositore ceco, naturalizzato americano, nato nel 1890 e morto nel 1959 prima di poter vedere rappresentato il suo maggior lavoro per il teatro) è un affascinante affresco corale di Fede.
Martinu è anche autore del libretto tratto dalla novella “Cristo di Nuovo in Croce”) del celebre scrittore greco Nikos Kazantzakis (nato a Creta nel 1883 e morto a Friburgo nel 1957, autore anche di “Zorba il Greco”). Prima di diventare un’opera, il romanzo di Kazantzakis ha ispirato uno dei più noti film di Jules Dassin (premiato a Cannes ed uscito in Italia con il titolo Colui che Deve Morire). Con un cast di livello (Melina Mercouri, Maurice Ronet, Jean Servais, Roger Hanin, Pierre Vaneck, René Lefevre), ebbe notevole successo internazionale e torna ancora in televisione.
Durante la preparazione dell’opera, Martinu collaborò fittamente con Kazantzakis e andò in Grecia per conoscere l’ambientazione originale della vicenda narrata e studiare la musica popolare e quella liturgica bizantina. La composizione di “The Greek Passion” è il supremo impegno artistico e spirituale di Martinu attratto dall’afflato epico del testo di Kazantzakis, dal tono epico e dal senso di pietà religiosa che lo pervade. Martinu ha volutamente tralasciato alcuni lati del romanzo, discutibili perché violenti.
Confluiscono nella poetica musicale di Martinu influenze differenti, dalla musica nazionale cèca all’impressionismo francese e e al neo-classicismo di Igor Stravinsky, dalla vocalità negro-americana al jazz. Il suo stile risulta quindi eclettico, innervato da un forte contrappunto di stampo neobarocco. Nell’ultimo periodo della sua creatività, Martinu, quello a cui appartiene “The Greek Passion”, il compositore mirava a un linguaggio semplice e diretto, atto a conciliare l’originario carattere slavo della sua arte, di natura schiettamente rapsodica, con i portati costruttivi più complessi della moderna musica occidentale. Roman Vlad ha scritto che “La sua qualità migliore è la semplicità quasi infantile, non priva di un virtuosismo di grande eleganza. Il carattere dell’opera, però, si definisce soprattutto nelle ampie scene corali che costituiscono i pilastri principali della vicenda drammatica e musicale.
Conosco il lavoro per averlo visto e ascoltato negli Stati Uniti, nell’edizione curata da Sir Charles Mackerras. Per questo nuovo allestimento del Teatro Massimo è stata scelta la versione originale del 1957 revisionata da Aleš Bezina per la Universal Edition, andata in scena al Festival di Bregenz (1999) e al Covent Garden di Londra (2000 e 2004), raramente messa in scena. Per questo l’evento era molto atteso nel teatro musicale europeo.
L’opera narra il processo di identificazione dei suoi personaggi coi ruoli della rappresentazione sacra della passione di Cristo alla quale si appresta il villaggio greco di Lykovrisi (in Anatolia), che fa da sfondo. Contemporaneamente si sviluppano le polemiche per l’accoglienza di alcuni profughi, espulsi dai turchi. L’opera parla di temi molto attuali, come tolleranza, accoglienza: «Verrebbe da dire che purtroppo è attuale – sottolinea il regista Damiano Michieletto – nell’opera c’è però anche una forte componente religiosa, rituale. È la storia di un villaggio greco, ricco, di gente che sta bene: questo è un aspetto che viene spesso sottolineato. Arriva un gruppo di profughi: non sono stranieri, è gente che parla la stessa lingua e soprattutto ha la stessa religione; il loro villaggio è stato incendiato dai turchi e sono scappati. Chiedono terra, cibo, aiuto; lo chiedono in nome di Dio e in nome di Dio vengono respinti.
L’impianto sociale è del tutto attuale, di fatto subentra poi la componente religiosa. Entrambi i leader di questi due gruppi sono leader religiosi, che fanno “politica”, perché gestiscono le coscienze e i comportamenti degli appartenenti ai loro gruppi”. “Ho tenuto a mantenere – aggiunge Michieletto – l’attualità di questa storia senza rinunciare al lato religioso, banalizzandolo o liquidandolo come poco importante, perché nella musica è fondamentale. Al di là di questa cornice l’impianto è contemporaneo perché contemporanea è l’umanità che viene raccontata”.
Durante la Sacra Rappresentazione della Passione, a contatto con gli sfollati, avviene la maturazione interiore di un pastore, Manolios, considerato lo “scemo del villaggio” ma chiamato a interpretare Gesù; ciò poco a poco lo trascina a cambiare vita sino a morire sacrificandosi per gli altri. E’ lavoro fortemente religioso anche se critico nei confronti delle gerarchie.
Sul podio dell’orchestra del Teatro Massimo ha debuttato con successo Asher Fisch, noto direttore israeliano, già assistente di Daniel Barenboim. La regia è affidata a Damiano Michieletto, le scene sono di Paolo Fantin, i costumi di Silvia Aymonino.
Il cast, numerosissimo, comprende nei ruoli principali, Sergey Nayda (Manolios), Judith Howarth (Katerina), Jan Vacik (Yannakos), Luiz-Ottavio Faria (Fotis The Priest) e Mark S. Doss (Grigoris The Priest). Il Coro del Teatro Massimo è¨ diretto da Andrea Faidutti, il Coro di voci bianche da Salvatore Punturo.
Un lavoro da vedere, ascoltare e meditare. Speriamo che altri Sovrintendenti abbiamo il coraggio mostrato dal Massimo di Palermo.