Withney Houston è morta esattamente quattro anni fa, l’11 febbraio 2012. La donna più premiata della storia della musica: 6 Grammy Awards, 2 Emmy Awards, 31 Billboard Music Awards, 22 American Music Awards tra gli altri, per un totale di 415 premi. Basta questo a definire la grandezza di un artista? O ci vogliono le cifre dei dischi venduti? Anche con quelli Whitney Houston sarebbe ai vertici: con 42 milioni di copie vendute, The Bodyguard è la colonna sonora più venduta di tutti i tempi. Poi ci sono le vendite degli altri dischi. Ovviamente non sono i numeri che danno la grandezza artistica di un cantante, anche perché nel corso della sua carriera quasi venticinquennale la Houston ne ha incisi davvero pochi, solo otto, tra cui appunto una colonna sonora e un disco di canzoni natalizie.
Ma è stata una delle voci più grandi di tutti i tempi, questo sicuramente. Peccato che il suo repertorio non sia stato sempre all’altezza di questa voce. Un repertorio essenzialmente commerciale, legato alle mode die tempi, soprattutto quella degli anni 80, tra dance e pop di grana grossa. Se fosse vissuta negli anni 60, con gli autori di canzoni e produttori di quell’epoca, la cantante avrebbe fatto a gara con Aretha Franklin come interprete più grande di tutti i tempi, almeno nella musica di colore. Avrebbe fatto a gara anche con Billie Holiday.
Nonostante questo la voce di Whitney Houston ha brillato enormemente. Inizialmente impostata come quella di un soprano drammatico, possedeva estensione e controllo. Una voce piena, pura, omogenea con una estensione di tre ottave e due semitoni. La Houston veniva poi da una scuola di canto eccelsa, tra cui la zia Dionne Warwick. La rivista Time Magazine scrisse che “se la voce è uno strumento musicale, la sua è uno Stradivari. Negli ultimi anni l’uso della droga aveva però colpito queste doti incredibili.
Forse, tra le sue interpretazioni più notevoli, si possono segnalare quattro dei suoi più grandi successi di sempre: I Will Always Love You, I Believe in You and Me, It’s Not Right but It’s Okay e I’m Every Woman.
Alla fine resta il rimpianto per una fine prematura che ha eliminato una delle più grandi voci di tutti i tempi.