Negli anni 70 la musica italiana, e non solo, era divisa nettamente in due. Da una parte i cantautori impegnati che annunciavano la rivoluzione e partecipavano ai festival dell’Unità, dall’altra quelli che cantavano canzoni d’amore e i turbamenti dell’adolescenza e andavano a Sanremo. Oggi non esistono più nessuna delle due categorie, spazzate via dai talent dove sei “re per una sera” in base all’acconciatura di capelli e non per le doti canore.
Sandro Giacobbe faceva parte della seconda categoria, dai tempi del suo primo grande successo, Signora mia (era il 1974), per poi rallentare la sua attività musicale e dedicare gran parte del suo tempo libero a impegni di solidarietà ai meno fortunati. Nel 1981 ha fondato la Nazionale Italiana Cantanti e ne è allenatore ancora oggi: centinaia di serate in sostegno, come dal motto della squadra stessa, “per aiutare i bambini che soffrono”.
Giacobbe, che vive nell’entroterra di Chiavari in Liguria, è così entrato in contatto con l’Associazione Amici di Simone che quest’anno compie i dieci anni di attività proprio nella cittadina del Golfo del Tigullio. Una associazione che si occupa di fornire sostegno economico e non solo alle famiglie di bambini disabili, in modo che possano accedere al tipo di sistema scolastico che desiderano ad esempio quello paritario e anche al diritto a insegnanti di sostegno, cose che lo Stato garantisce con enormi difficoltà. I dieci anni dell’Associazione saranno festeggiati con una grande serata al Teatro Cantero di Chiavari il prossimo 10 novembre, a cui parteciperanno Giacobbe e altri cantanti e anche cabarettisti e attori (Carlo Pastori, Walter Muto, Davide De Marinis, Leon Cino, Timothy, Dino, Carmine Faraco e Vittorio Podestà; biglietti in prevendita presso la sede dell’Associazione in Via Vinelli 28, Chiavari, dal lunedì al sabato dalle 9 alle 12, informazioni telefonare al 333.2726342). Ecco cosa ci ha detto Sandro Giacobbe.
Come è scaturito l’incontro con gli Amici di Simone?
Erano venuti a cercarmi in quanto tra le altre cose alleno una squadra di calcio di Chiavari fondata da un sacerdote, volevano organizzare una partita di calcio in sostegno dell’Associazione. Poi parlando abbiamo deciso di fare qualcosa di più grande e impegnativo, perché un’opera come la loro, anche se esiste da dieci anni, è davvero ammirevole e merita di essere conosciuta e sostenuta data l’importanza del lavoro che svolge.
Tu da anni ti dedichi alla beneficenza e alle iniziative di solidarietà. Cosa ti ha colpito di questa Associazione da spingerti a coinvolgerti con loro?
Da quando ho dato vita alla nazionale dei cantanti, il cui motto è stato sin da subito “Per aiutare i bambini che soffrono”, sono sensibile al mondo dei piccoli in difficoltà. Anche perché ho vissuto in prima persona questa realtà, avendo avuto un figlio colpito da tumore.
Cosa ha significato per te questa malattia?
Oggi Andrea sta bene, però sono cose che lasciano il segno, che ti danno ancora di più la sensibilità nel dire che se puoi fare qualcosa per gli altri specie per i bambini lo fai senza chiederti tante motivazioni. Dai un momento della tua vita nel realizzare qualcosa di importante che sostenga chi è impegnato con chi soffre di più.
Siamo abituati a vedere voi gente di spettacolo da lontano, sorridenti, senza sapere quali dolori e difficoltà vi portate dentro.
La peggior cosa che possa accadere è un figlio colpito da un tumore. Mio figlio aveva 11 anni e fino al giorno prima giocava felice al mare con gli amici. Aveva un dolorino alla schiena, ma i dottori ci dicevano che era una cosa di cui non preoccuparsi, che faceva parte della crescita, ma io non mi sentivo tranquillo. Un giorno dovevo andare a cantare ma qualcosa non mi ha fatto partire, la mattina dopo abbiamo fatto una ecografia e ci hanno detto che era un tumore. Sono sceso di sotto nella cappellina dell’ospedale, c’era una Madonetta e mi sono messo a pregare come avrebbe fatto qualunque papà. Ho chiesto perché a mio figlio di 11 anni invece che a me che avevo già vissuto una vita. Dopo l’operazione ho ripreso a esibirmi, ma ogni sera sorridevo e cantavo con la morte nel cuore e appena sceso dal palco salivo in macchina per correre da mio figlio.
Tu hai cominciato a cantare giovanissimo, che differenza c’è nel mondo della musica di allora e di oggi?
Ho cominciato a esibirmi a fine anni 60, facevo un sacco di serate ovunque, anni importantissimi. Chi voleva cantare faceva la famosa gavetta, cantare di tutto, era qualcosa che ti arricchiva. A me piaceva molto comporre, facevo il pellegrinaggio settimanale da Genova a Milano dove andavo a far sentire le mie cose. Allora si facevano dei provini voce e chitarra e il produttore li faceva sentire al direttore artistico delle case discografiche, una figura meravigliosa che oggi non esiste più: ascoltava e diceva sì o no, oppure fatemi conoscere questo cantante. Fu così che la Cgd mi invitò, andai con la mia chitarra, feci sentire alcune canzoni, tra cui la melodia di quella che sarebbe diventata Signora mia e il direttore capì subito che sarebbe stato un successo. E così fu.
Oggi questo tipo di percorso artistico non esiste più.
Oggi ci sono i talent che sono già legati a case discografiche, sfornano uno o due artisti che emergono per qualche motivo, non devono sforzarsi di promuoverli, hanno già la promozione fatta in tv. La realtà triste è che ogni talent deve lanciare un paio di artisti all’anno e l’anno dopo ne deve lanciare altrettanti. La maggior parte di loro dunque è obbligata a sparire in breve tempo, per far posto ad altri. Nella Nazionale cantanti c’è qualcuno di loro, ragazzi tristi e delusi, che hanno vissuto tre mesi sotto ai riflettori straviziati e poi sono stati abbandonati.
Tra le tante canzoni che hai scritto, qual è quella a cui ancora oggi sei più affezionato?
Ogni canzone ha la sua storia e rappresenta momento che fa parte della tua vita, ma se devo dire un brano che ancora oggi mi emoziona cantare è sicuramente Gli occhi di tua madre.
(Paolo Vites)