“Il flauto magico” ultima (o secondo alcuni penultima opera) di Wolfgang A. Mozart tratta di un’iniziazione, al tempo stesso, all’amicizia, all’eros, all’amore coniugale e alla società dei lumi della massoneria. Gli aspetti massoni sono sottolineati in molte regie e trattati ampiamente nel libro “Mozart Massone e Rivoluzionario” di Livia Bramani del 2005 che fu un successo editoriale nel 2006, quando ricorrevano i 250 anni dalla nascita del compositore austriaco.
Pochi tengono conto che la massoneria a cui apparteneva Mozart (vi faceva parte lo stesso Imperatore Giuseppe II) poco aveva a che vedere con quella violentemente laicista ed anticlericale che divenne nei decenni successivi, specialmente nell’Italia del Risorgimento e della ‘questione romana’. Nella seconda metà del Settecento, nell’Imperio austriaco (e, quindi, anche nel Lombardo Veneto) era l’espressione dell’illuminismo cattolico (come d’altronde rivelano altri lavori dello stesso Mozart).
“Il flauto magico” è stato concepito (come è noto) per un teatro di piccole dimensioni dei sobborghi di Vienna. Con elementi scenici essenziali e giochi di luci e di colori, lo spettacolo riempie tutto il potenziale del palcoscenico del Teatro Comunale di Bologna per raccontare una fiaba d’amore (e di confronto tra il Bene e il Male) vista attraverso gli occhi di due bambini vestiti alla marinara che appaiono durante l’ouverture e fanno più volte capolino nel corso dello spettacolo.
Non c’è segno di massoneria nella produzione che è stata affidata al gruppo di ricerca e sperimentazione teatrale Fanny & Alexander per la prima volta alle prese con un’opera lirica. La regia è firmata da Luigi De Angelis, affiancato da Chiara Lagani per la drammaturgia e i costumi e da Nicola Fagnani per scene e luci. Ricorda la versione cinematografica di Ingmar Bergman (1974) e anche il bellissimo spettacolo che Maurice Sendak, noto autore del secolo scorso di libri per l’infanzia, propose alla Houston Grand’ Opera e portato con successo in vari teatri americani (lo vidi a Washington nel 1981) e non solo. Per inciso quando dopo trentacinque anni, la Houston Grand’Opera decise di metterlo definitivamente in pensione, nel gennaio 2015 non tornò ad un ‘Flauto’ simbolico, e massonico, ma una nuova produzione di Ian Rutherford con scene e costumi di Bob Crowley pensata per bambini e adolescenti, in traduzione ritmica in inglese (e con soprattitoli pure in inglese) imperniato sull’iniziazione all’età adulta e sul progressivo percorso verso la maturità.
Il flauto magico” in scena a Bologna sino al 24 maggio (ma concepito per essere trasportato agevolmente in altri teatri) è, per molti versi, insolito rispetto a produzioni recenti viste in Italia (ad esempio, quella di McVickar a Roma e quella di Pizzi a Macerata che pur si tenevano distinte e distanti dalla parafernalia massonico-illuministica). Il flauto – come si è detto – viene messo in scena semplicemente come una fiaba. Per accentuare gli aspetti favolistici, la messa in scena utilizza proiezioni in 3D, scenari naturali, oggetti, forme e figure umane, si animano fluttuando nello spazio tridimensionale generando uno straordinario e “magico” effetto di coinvolgimento. I rami gli alberi, gli uccelli, lo stesso flauto svolazzano per la platea a tempo di musica ed invitando quasi gli spettatori a toccarli. Una trovata divertente e nuova, anche se da Fanny & Alexander mi sarei aspettato maggiori guizzi di sperimentazione – dati il libretto e la musica.
Mozart è soprattutto musica. Michele Mariotti, per la prima volta alle prese con questa partitura, anche se ha già diretto con successo opere di Mozart, sceglie di accarezzare quasi l’orchestra con una mano lieve e tiene molto bene l’equilibrio tra buca a palcoscenico. I richiami ad inni massonici vengono posti in secondo o terzo piano; l’enfasi è sui brani musicali che esaltano la fiducia reciproca, l’amicizia, l’amore e soprattutto la preparazione alla vita adulta. Paolo Fanale e Maria Grazia Schiavo (Tamino e Pamina) sfoggiano registri vastissimi; Fanale, in particolare, è un tenore lirico che scende a registri baritonali (sarà Pélléas a Firenze tra qualche settimana). Nicola Uliveri è un esilarante Papageno. Christina Poulitsi affronta con sicurezza le insidie vocali del ruolo della Regina della Notte, Mika Kares è un Sarastro burbero piuttosto che severo. Di gran livello il coro. In breve , uno spettacolo che merita di viaggiare verso altri teatri.